Mentre tanti gestori e consulenti finanziari sono ottimisti sull’andamento dell’economia e sulla tenuta del sistema a fronte di rischi geopolitici crescenti e inflazione dura a morire, è giusto anche sentire una delle poche voci fuori dal coro. Maurizio Novelli, gestore di Lemanik da voi cari lettori e care lettrici tanto apprezzato per le sue dotte analisi. Oggi Novelli ci mette in guardia sul fatto che la crescita delle insolvenze sul credito al consumo Usa avviene nonostante colossali interventi fiscali per evitare una crisi economica, ma la dinamica della spesa pubblica è a sua volta insostenibile. E l’economia occidentale non si è mai veramente ripresa dalla crisi del 2008.
Avrà ragione lui oppure è un poco troppo pessimista? Ce lo diranno il Tempo e il Mercato.
Introduzione
La recente pubblicazione del Financial Stability Report da parte del Fondo Monetario Internazionale è particolarmente focalizzata sui rischi e sulla crescente vulnerabilità del sistema finanziario e non aggiunge nulla di nuovo a quello che sappiamo già da tempo, anzi, gli allarmi sembrano un po’ tardivi. Ampio spazio viene dedicato alle banche americane e alle perdite “nascoste nei bilanci”, mentre altri allarmi si concentrano su Private Credit, Asset Illiquidi e Commercial Real Estate (Cre). Tutte cose che evidenziamo già da molti mesi, tuttavia non sembra che qualcuno si stia preoccupando di cambiare la direzione o di porsi domande sulla sostenibilità di questi trend.
La stagione delle trimestrali Usa è iniziata con le banche, attese al banco di prova per verificare se le insolvenze in corso su credito al consumo e sul Cre potevano iniziare a emergere nei bilanci. In realtà qualcosa si è iniziato a vedere ma molto poco: le insolvenze pubblicate sono ancora su livelli infimi del 1,5% mentre le statistiche di sistema indicano che siamo al 6%-7% su credito al consumo e si stima che le perdite sul Cre siano al 25%-30% (Fonte: Financial Stability Report Fmi). Nel frattempo l’associazione bancaria americana, tramite il Bank Policy Institute, ha iniziato a fare lobby sul Congresso e sulla Fed per bloccare l’implementazione di Basilea 3, dato che la sua applicazione farebbe emergere l’esigenza di ingenti ricapitalizzazioni per i primi dieci istituti bancari americani, proprio mentre invece sono impegnati in forsennati buy back, riducendo il capitale per sostenere i titoli in borsa (si veda Bank Policy Institute: Basel III accord US finalization).
È l’ennesima conferma che allo stato attuale non possiamo fare il mark to market di nulla di tutto quello che circola nel sistema e “galleggia” ai prezzi di carico nei bilanci di banche, fondi pensione, assicurazioni, Private Credit e Private Equity. Circa 13/14 trilioni di asset non vendibili ai prezzi evidenziati sui bilanci di queste istituzioni, le cui perdite effettive sono sconosciute e non contabilizzabili. Alcuni fondi pensione americani hanno iniziato a ricorrere ai prestiti bancari per pagare le contribuzioni mettendo a collaterale gli asset illiquidi (non è mai accaduto prima). Fondi di Private Equity hanno iniziato a pagare i dividendi agli azionisti con prestiti bancari garantiti dalle partecipazioni che hanno in portafoglio (rendimenti prodotti dal debito). JPMorgan e Bank of America hanno centrato i profitti attesi pescando dalle riserve accantonate per rischi su crediti. È certo un’ottima soluzione quella di ridurre gli accantonamenti per affrontare un ciclo di aumento delle insolvenze appena iniziato. La riduzione delle riserve per rischi su crediti mentre le insolvenze di sistema salgono, e la riduzione del capitale tramite buy back per sostenere i titoli, evidenziano il livello di ridicolo paradosso raggiunto dal settore finanziario Usa. Aumentano le perdite e i rischi di sistema ma si riducono le protezioni di capitale e riserve per fare le trimestrali e tenere su la Borsa, il tutto sotto gli occhi degli attenti “regulators”.
Verso la Balance Sheet Recession
Tutto questo conferma il mio scenario di Balance Sheet Recession in arrivo o forse già cominciata. La dinamica della spesa pubblica negli Stati Uniti non fa che confermare il terrore dei policy makers per la situazione che hanno creato e che richiede ora il costante intervento pubblico per essere sostenuta ed evitare di trascinare l’economia mondiale in una crisi. Tuttavia l’intervento pubblico costante crea altri problemi di sostenibilità del debito, innescando un intreccio pericoloso, dove, per sostenere il debito privato non più sostenibile, devo fare debito pubblico a ritmi non sostenibili. Nulla di quello che stiamo facendo per tenere a galla il sistema è sostenibile. Siamo ormai trappola di un meccanismo che non può contabilizzare le perdite, non può far scendere la Borsa, non può subire una recessione, non può fermare la spesa pubblica e non può rimborsare il debito. A questo punto mi chiedo se è messa meglio la Cina, che può permettersi un deleverage, o siamo messi meglio noi che non possiamo permettercelo. La Cina ha deflazionato gli asset finanziari, ha avviato un deleverage nel settore immobiliare e sta implementando riforme e ristrutturazioni di debito.
A partire dal 1990 il Giappone ha cercato di gestire le perdite non contabilizzabili dal sistema e ha avviato costanti interventi pubblici per sostenere l’economia (come stanno facendo gli Stati Uniti oggi). L’intreccio di rischio tra banche, Real Estate e Shadow Banking aveva generato una colossale bolla speculativa di credito nell’economia. La borsa giapponese era solo la punta dell’iceberg della bolla speculativa e certamente non l’epicentro del problema, che era invece nelle banche e nello Shadow Banking (come negli Usa oggi). Nonostante la costante espansione della spesa pubblica il Pil giapponese ha ristagnato in deflazione da debito per quasi trent’anni a causa della Balance Sheet Recession (deleverage del sistema privato dall’eccesso di debito accumulato e non rimborsabile).
Nel 2015 la Cina ha evidenziato l’inizio di una crisi con una fuga di capitali che ha impresso una forte svalutazione del Rinmimbi e generato un contagio ribassista sulle borse internazionali. Era la fase iniziale dell’emergere dei problemi sul Real Estate e sullo Shadow Banking. Le autorità cinesi sono prontamente intervenute con stimoli fiscali e monetari e la situazione sembrava tornata sotto controllo, ma nel gennaio del 2016 le criticità sono nuovamente riemerse, obbligando il governo cinese a interventi pubblici e monetari di tamponamento.
Gli interventi hanno consentito di mascherare la situazione per alcuni anni fino a quando il Covid ha fatto riesplodere i problemi coperti da tali interventi governativi. Nonostante il sistema finanziario cinese fosse un sistema “chiuso” e controllato dalle autorità statali, la dimensione del debito tossico accumulato nel Real Estate, nelle banche e nello Shadow Banking non è stato gestibile per molto tempo.
In un primo tempo le autorità cinesi hanno cercato di applicare la strategia giapponese e americana (interventi e occultamento delle perdite), ma si sono prontamente rese conto che tale strategia avrebbe ingolfato il sistema finanziario per un lungo periodo e obbligato il governo centrale a costanti interventi pubblici di sostegno. La decisione di deflazionare gli asset finanziari e avviare un deleverage con ristrutturazione del debito e default controllati ha infilato l’economia cinese in una Balance Sheet Recession e conseguente deflazione.
Tuttavia non c’era altra scelta, dato che comunque il sistema era già infarcito di perdite nascoste, crisi immobiliare e debiti non ripagabili. L’alternativa sarebbe stata quella di tamponare con l’intervento pubblico a oltranza, come ha fatto il Giappone per trent’anni o come stanno cercando di fare gli Stati Uniti oggi.
La bolla di credito speculativo Usa
Gli Stati Uniti hanno costruito una gigantesca bolla di credito speculativo grazie, si fa per dire, al lungo periodo di Quantitative Easing e tassi zero. In realtà l’economia occidentale non si è mai veramente ripresa dalla crisi del 2008. Europa, Giappone e Usa, dopo la crisi, hanno operato per 14 anni con il costante supporto monetario e pubblico. Dal 2008 al 2013 tale supporto ha consentito di sostenere le difficoltà nella fase di uscita dalla crisi, ma successivamente si è trasformato in carburante per nuove ondate speculative su credito e finanza che hanno creato la situazione attuale.
Anche l’economia americana ha ora in essere un intreccio perverso tra Real Estate (commerciale), banche e Shadow Banking System, a cui si aggiunge però anche Private Equity e Venture Capital, anche loro molto interconnessi con banche e Shadow Banking (BoE warns of risks from PE bubble – FT March 27, 2024).
Il sistema finanziario Usa è decisamente più sofisticato di quello giapponese e di quello cinese, ma la sofisticazione e la complessità ha vantaggi e svantaggi. Consente di inventare nuovi meccanismi di finanziamento al sistema, alternativi e innovativi, ma questo accentua i rischi non monitorati. Inoltre, il sistema finanziario americano ha una spiccata capacità nello spargere in modo diffuso e globale i rischi di sistema, mentre cinesi e giapponesi tendono a tenerseli in casa propria, infatti la crisi giapponese e cinese non ha procurato contagi duraturi. Anche negli Usa assistiamo oggi a emergenti crisi nel settore bancario, crisi nel Real Estate (commerciale) e difficoltà nello Shadow Banking System.
Esattamente come nei due casi precedenti (Giappone e Cina), la strategia iniziale è quella di nascondere le perdite e procedere con interventi pubblici. Gli Stati Uniti hanno però alcuni problemi aggiuntivi rispetto a Giappone e Cina nel gestire la situazione:
- non hanno risparmio interno e dipendono dai flussi di capitale internazionali,
- hanno una divisa di riserva,
- non hanno deflazionato gli asset finanziari.
Se non hai risparmio interno e devi contemporaneamente difendere lo status di divisa di riserva sei obbligato a implementare politiche adeguate per attirare capitali dall’estero, specialmente se fai debito e spesa pubblica per sostenere il sistema come hanno fatto cinesi e giapponesi prima di te. Il tuo livello dei tassi deve quindi essere sempre più elevato di quello dei paesi esportatori di capitali e il cambio deve essere forte.
Mantenere tassi elevati in un sistema a elevata leva finanziaria (il debito privato e pubblico è oltre il 470% del Pil) è a lungo andare un problema, specialmente se il credito speculativo che hai creato è oggi pari al 45% del Pil e paga tassi tra 8% e il 15%, mentre i tuoi consumatori finanziano un terzo dei loro consumi a tassi del 23% (il 30% del consumer spending americano è finanziato).
Per attirare capitali dall’estero e difendere lo status di divisa di riserva devi anche evitare di deflazionare gli asset finanziari, cercando quindi di perseguire l’improbabile e insostenibile strategia di tenere tassi alti, aumentare il debito, non deflazionare gli asset finanziari in bolla, e non fare default su debito speculativo accumulato. La tenuta del sistema dipende dalla capacità di nascondere le perdite, fare interventi fiscali e monetari ma tenere tassi bassi, ed è chiaro che per gli Stati Uniti è difficile riuscire ad avere tutte e quattro le cose assieme, più una quinta: non deflazionare mai gli asset finanziari. Puoi nascondere le perdite, fare debito pubblico a raffica e interventi monetari, ma i detentori esteri del tuo debito non accettano debito in crescita, inflazione alta e tassi bassi.
Quindi i flussi di capitale dall’estero, che vorresti avere per sostenere il sistema e il dollaro, vogliono tassi adeguati per l’inflazione che attualmente crei con la spesa pubblica necessaria per puntellare il sistema e sostenere la domanda interna. Ma questo crea un problema di sostenibilità del debito e di sostenibilità delle bolle speculative sugli asset finanziari. Lo scenario prezzato dai mercati, inflazione al 2%, crescita al 2%, bolle speculative intatte per sempre è un Nirvana difficile da realizzare.
Cina vs Usa
Un sistema che deve nascondere le perdite e non può fare deleverage per evitare una recessione o una stagnazione non regge a lungo (come è accaduto in Cina e in Giappone). Le perdite che ingolfano il sistema bloccano comunque la circolazione del credito procurando un credit crunch, l’intervento fiscale inizia a tamponare per un po’ ma l’economia non regge senza una costante espansione fiscale. Esistono due possibili soluzioni: Inflazione o nazionalizzazione dei mercati (come in Giappone).
Inflazione e svalutazioni monetarie possono essere una soluzione ma portano comunque a disordine e instabilità finanziaria di lungo periodo (anni 70 e 80). La “nazionalizzazione” dei mercati finanziari, controllo palese o occulto delle variabili finanziarie (tassi d’interesse e mercato azionario), è un tentativo probabilmente già in corso. Tuttavia, Giappone e la Cina hanno attuato lo stesso meccanismo, ma comunque non hanno evitato la crisi e il risultato è stato la soppressione dei ritorni finanziari di lungo periodo sugli investimenti. Il motivo è che un sistema che deve sostenere ingenti posizioni in perdita non può pagarti rendimenti superiori a quelli delle posizioni insolventi che deve finanziare col debito, dato che una posizione in sofferenza è una posizione a rendimento zero e l’obbiettivo del creditore è il mero recupero parziale del capitale.
I recenti rialzi in corso sull’Oro, nonostante dollaro forte e tassi alti, potrebbero quindi avere motivazioni non semplicemente legate al contesto inflazionistico ma a rischi di sistema che la maggioranza degli investitori non ha ancora completamente percepito. A complicare il quadro generale concorre la situazione geopolitica di contrasto tra le due principali economie mondiali. Stati Uniti e Cina sono in una precaria posizione economico finanziaria: tutti e due nascondono perdite, hanno problemi sulle banche e nello Shadow Banking, hanno problemi nel settore immobiliare e manipolano i dati macro per far vedere che tutto è ok. La differenza di strategia per gestire i problemi è però evidente: la Cina ha preferito evitare stimoli e avviare una pulizia del sistema (deleverage) pagando il conto subito, gli Stati Uniti spingono su stimoli aggressivi e non vogliono ripulire il sistema con il deleverage.
Occorre ora chiedersi quale delle due strategie è la più sostenibile nel tempo: quella finalizzata a pagare i danni di politiche sbagliate o quella che cerca di non pagarli? Le conseguenze delle anomale e costanti politiche economiche e monetarie implementate dopo la crisi del 2008 avranno un radicale impatto di lungo periodo sugli equilibri economici e finanziari ma anche, e soprattutto, su quelli geopolitici del pianeta……”and the winner takes it all”.
Immagine di copertina elaborata con DALL-E di OpenAI