Secondo l’analisi di Roberta Caselli, Commodities Investment Strategist di Global X, il prezzo dell’uranio si è stabilizzato dopo il rally degli ultimi due anni, ma per le aziende che lo estraggono e lavorano il momento migliore potrebbe dover ancora arrivare. La natura di lungo termine dei contratti di fornitura, infatti, fa sì che in molti casi l’aumento del prezzo si sia concretizzato solo in parte nei bilanci delle società, i cui ricavi dovrebbero continuare a crescere anche se il prezzo spot restasse sui livelli attuali. In prospettiva, il forte bisogno di materia prima continuerà a mantenere il mercato in una condizione di squilibrio, con le scorte delle utility ai livelli più bassi dal 2011.
Il mercato dell’uranio sta ancora valutando le prospettive per l’approvvigionamento dopo che gli Stati Uniti hanno vietato le importazioni di combustibile nucleare russo, anche se la prospettiva dell’embargo di Washington e la potenziale ritorsione di Mosca sono state mitigate dalla flessibilità e dalle varie deroghe previste dalla legislazione.
Tuttavia, poiché la Russia ha ridotto l’accesso alle sue capacità di arricchimento, è possibile che gli impianti interrompano la pratica della “sottoalimentazione”, un processo che rappresenta una fonte secondaria di uranio perché consente di arricchirlo utilizzando una concentrazione inferiore di U-235. Le restrizioni alle importazioni degli Stati Uniti potrebbero esacerbare la situazione, mettendo a rischio la stabilità del mercato.
Nel frattempo, l’aumento del prezzo della materia prima ha spinto i minatori a rilanciare le loro pipeline di progetti. È importante notare che il mercato globale dell’uranio è caratterizzato dalla sua illiquidità, ed è in gran parte influenzato da contratti a lungo termine. Questi contratti, nonostante alcuni presentino meccanismi di aggiustamento al prezzo spot, forniscono un cuscinetto contro la volatilità dei prezzi. Ad esempio, il prezzo dell’uranio realizzato da Cameco nel primo trimestre è stato di 57,57 dollari per libbra, significativamente inferiore al prezzo spot attuale. Questo significa che anche se il prezzo spot dell’uranio non dovesse salire rispetto ai livelli attuali, i guadagni dei minatori potrebbero comunque aumentare nel tempo grazie all’effetto ritardato sui loro ricavi.
Sempre in risposta all’aumento dei prezzi, si prevede che i minatori aumenteranno la produzione globale di uranio del 24% entro il 2028. Dalle indicazioni che arrivano dalle varie aziende, le imprese minerarie canadesi, statunitensi e australiane saranno probabilmente le principali artefici di questo aumento.
BloombergNEF prevede da qui al 2028 una crescita annua del 31% nella produzione di reattori in Cina, fino a 600 TWh, e del 75% nella produzione in India, fino a 100 TWh. Più in generale, le società di energia nucleare che hanno esaurito le scorte durante le fasi di deficit potrebbero decidere di riempirle nei prossimi anni, aumentando il fabbisogno mondiale. BNEF prevede che il rifornimento di scorte delle utility raggiungerà livelli record di 13 milioni di libbre all’anno, mentre ora stima che siano ai livelli minimi dal 2011: questo potrebbe tenere il mercato in una condizione di squilibrio fino alla fine del decennio.