Lo shock causato dai dazi americani sta sconvolgendo mercati finanziari ed economie di tutto il mondo. Cosa fare o cosa non fare in questa situazione? Prova a rispondere la lunga analisi di Nicolas Forest, CIO di Candriam.

Nicolas Forest, CIO di Candriam

Lo shock

È difficile valutare l’entità dello shock causato dai dazi sull’economia statunitense: eventuali negoziazioni potrebbero contribuire ad attenuarne l’impatto, mentre misure di ritorsione potrebbero avere l’effetto opposto. Riteniamo che il nostro scenario di base secondo cui gli shock politici e il sentiment negativo arresteranno l’espansione economica, sia diventato più probabile di quello di un “soft landing”: una recessione entro la fine del 2025 sembra sempre più possibile e l’inflazione è destinata a salire del 2%[1]. In questo scenario, la Federal Reserve non agirebbe in via preventiva e aspetterebbe maggiore chiarezza (sull’entità dell’impatto dei dazi sull’inflazione, sulla compensazione del sostegno fiscale…) e segnali concreti di rallentamento prima di procedere a un ulteriore allentamento: per il 2025, ci aspettiamo dalla Fed tre ulteriori tagli.

Quale sarà impatto sull’Eurozona?

Prima del ritorno di Trump alla Casa Bianca, si prevedeva che nel 2025 la crescita dell’Eurozona si sarebbe attestata intorno all’1%[2]. Da allora, la reazione europea alle minacce degli Stati Uniti per il ritiro del supporto all’Europa sul fronte della sicurezza ha spinto molti a rivedere al rialzo il loro scenario per la crescita. La nostra view, invece, è di maggior cautela [3] riguardo al sostegno economico a breve termine che potrebbe venire dal piano ReArm Europe/Readiness 2030 e dal dietrofront della Germania sulla politica fiscale. Da qui a un anno, ci aspettiamo che le nuove misure annunciate dai leader europei non possano portare ad altro che ad un’attenuazione delle conseguenze negative dell’imminente guerra commerciale con gli Stati Uniti. Inoltre, nel breve periodo, i rischi esecutivi associati in particolare al piano tedesco di investimenti infrastrutturali sono reali: è improbabile che i progetti infrastrutturali “pronti per l’attuazione” siano abbastanza numerosi da compensare immediatamente lo shock derivante dall’aumento dei dazi.

Come negli Stati Uniti, la crescente incertezza potrebbe indurre anche le aziende europee a posticipare i loro piani di investimenti e assunzioni. Inoltre, l’Europa è un’area molto aperta e piuttosto sensibile alla crescita mondiale. Pertanto, è più probabile che nei prossimi trimestri si verifichi una “fase di debolezza” piuttosto che uno scenario in cui la crescita aumenti al ritmo dell’1%.

Resta da vedere se l’Europa tenterà di negoziare o minaccerà di utilizzare il suo nuovo bazooka (lo Strumento Anticoercitivo o ACI). In ogni caso, con l’inflazione in calo, la BCE è ben posizionata per rispondere allo shock. Ci aspettiamo che la Banca Centrale Europea riduca i tassi di almeno altri 50 punti base, ma potrebbe tranquillamente abbassarli al di sotto del 2% se necessario.

Più difensivi

L’annuncio sui dazi del presidente Trump è stato più aggressivo di quanto previsto dai mercati e questa escalation sta contribuendo a rendere più fragile il contesto economico globale, con i rischi di recessione chiaramente in aumento. Sebbene non siano da escludere possibili trattative e un potenziale allentamento dei dazi annunciati, le azioni di ritorsione dei partner commerciali potrebbero amplificare ulteriormente i rischi di ribasso.

Nelle ultime settimane avevamo già adottato un atteggiamento più cauto nella nostra asset allocation, considerando le crescenti incertezze globali, in particolare negli Stati Uniti, e ilimitati segnali sulla possibile direzione del mercato a breve termine.  Il persistere di un elevato livello di incertezza, insieme al deterioramento dello scenario economico – non solo negli Stati Uniti ma anche a livello globale- ci rende ancora più prudenti riguardo agli asset rischiosi a livello globale.

Abbiamo ulteriormente ridotto la nostra esposizione alle azioni statunitensi. Le nostre preoccupazioni sulla crescita probabilmente si tradurranno in ulteriori revisioni al ribasso degli utili aziendali, mentre i rapporti prezzo/utile degli Stati Uniti rimangono elevati rispetto alle loro medie storiche e ad altre regioni. Oltre a ciò, ora riduciamo, fino a sottopesare, anche l’esposizione sull’ l’Eurozona, sui mercati emergenti e sul Giappone. Sebbene la ricerca di una maggiore diversificazione a livello internazionale potrebbe generare flussi positivi, le tensioni commerciali in corso e le crescenti vulnerabilità esterne potrebbero spingere al ribasso gli indici azionari, che potrebbero prezzare un rischio maggiore di recessione.

Ci posizioniamo sui profili azionari difensivi, favorendo le aziende con flussi di cassa stabili e una minore sensibilità agli shock macroeconomici. In Europa, manteniamo un atteggiamento costruttivo nei confronti dei settori dei servizi di pubblica utilità e dei beni di consumo di base, mentre rimaniamo cauti sui titoli ciclici.

Sul fronte obbligazionario, manteniamo una duration lunga sui titoli di Stato europei, in particolare sui Bund, supportati da una politica monetaria accomodante.

Asset alternativi

Continuiamo a vedere valore negli asset alternativi, in particolare nei metalli preziosi come l’oro e l’argento, che continuano a rappresentare una protezione efficace in un contesto di elevata volatilità e incertezza commerciale. Per quanto riguarda le valute, avevamo una visione positiva sullo yen giapponese, che ritenevamo potesse beneficiare della maggiore avversione al rischio. Tuttavia, ci aspettiamo che i dazi annunciati mercoledì sul Giappone pesino sull’economia giapponese e potrebbero mettere alla prova la nostra posizione costruttiva sulla valuta.

Alcune strategie alternative possono aiutare a proteggere un portafoglio multi-asset, in particolare le strategie equity market neutral, che potrebbero trarre vantaggio da maggiore volatilità e dispersione senza essere esposte al rischio direzionale del mercato.