“La metà dei campi agricoli Ue in mano al 3% delle aziende” e “L’uno per cento delle aziende agricole del mondo gestisce il 70% dei campi coltivati” sono il grado d’allarme lanciato dal sito Agrifood Today in un recente articolo.
Indice
Il report sulla Land Inequality
Queste affermazioni nascono dall’ultimo report della International Land Coalition che insieme a Oxfam ha analizzato la cosiddetta Land Inequality.
Ineguaglianza che rischia di colpire oltre 2,5 miliardi di persone che vivono di agricoltura gestendo piccoli appezzamenti di terreno.
Nel libro Investire nei megatrend del futuro abbiamo trattato questo tema, che deriva dalla combinazione del fattore demografico con quello ambientale.
Land Grabbing
In uno dei capitoli poniamo l’accento sul Land Grabbing, l’accaparramento di terre agricole e da pascolo da parte di entità riconducibili al settore finanziario e a Stati che necessitano di trovare terre.
Lo fanno sia per speculazione sia per garantirsi la sovranità alimentare, come le nazioni nordeuropee, i Paesi del Golfo, la Corea del Sud e il Giappone.
Secondo l’organizzazione no-profit Grain, nel 2018 il valore di queste terre era stimabile in 131 trilioni di dollari di cui il 70% in mano a fondi pensioni e mutualistici, il 25% ai fondi assicurativi e il 5% ai fondi sovrani statali.
Affitto di terre agricole
Le terre vengono poi messe a reddito affittandole in appezzamenti di piccolo o medio taglio. Sapete che in Italia 5,7 milioni di ettari sono in affitto, pari al 45% della superficie coltivata?
Il grido d’allarme che la metà dei campi agricoli Ue in mano al 3% delle aziende trova fondamento.
I grandi proprietari terrieri
La concentrazione di terre ha un risvolto in Borsa.
Alcune dei grandi proprietari sono quotati, come l’argentina Cresud (CRESY) che possiede 800.000 ettari di terre in America Latina la cui gestione ha prodotto un fatturato di 290 milioni di dollari nel 2018.
Il grafico di CRESY dal 1996 a oggi mostra un titolo che resta sui minimi storici e non si è ancora ripreso dal bear market che l’ha colpito nel 2018. Vedremo in futuro se la ripresa delle materie prime influirà sul titolo.
L’automazione in agricoltura e la parcellizzazione
Sebbene la concentrazione della proprietà terriera crei ineguaglianza sociale, dal punto di vista dell’automazione della produzione agricola è un bene.
Per fare fronte alla triplice sfida dell’aumento di bocche da sfamare nei prossimi decenni, dell’aumento della domanda di calorie pro-capite e del cambiamento climatico, il settore agricolo deve raddoppiare la produttività dei campi entro il 2050.
Il settore agricolo si sta oggi trasformando grazie alle tecnologie digitali e robotiche che abilitano la cosiddetta “agricoltura di precisione“. Ma l’automazione costa, e solo le aziende agricole più grandi possono permettersela.
E’ il problema rilevato dal Governo Cinese che in questi anni sta incentivando l’automazione dell’agricoltura.
La dimensione media delle fattorie cinesi è di soli 2,4 ettari, contro i 180 ettari delle fattorie americane, rendendo non conveniente per l’agricoltore l’acquisto di macchine tecnologiche come i trattori autonomi, che costano circa quattro volte quelli a guida manuale.
Il problema degli agricoltori è un’opportunità di business per gli imprenditori.
La società americana AgJunction (AJX) che al costo di 4.000 dollari fornisce volante motorizzato, antenna GPS, elettronica di supporto e app per smartphone con cui l’agricoltore può manovrare il trattore e impostare il lavoro da eseguire sul campo, senza dovere comprare una nuova macchina molto costosa.
Gli affari vanno così bene che il titolo AJX ha decuplicato il suo valore di Borsa dal minimo di marzo 2020, dopo due anni di debolezza. La pandemia Covid-19 ha infatti dato un’accelerazione all’automazione del lavoro agricolo.
Altri articoli sul tema
Il tema dell’alimentazione l’abbiamo trattato (sotto altri aspetti) in questi articoli che trovate sul sito. Dateci un’occhiata!
Conclusioni
Tornando al tema di partenza, il fenomeno della concentrazione che osserviamo in agricoltura è tutt’altro che nuovo ed è esteso a ogni settore dell’economia e della società.
Il mondo non è più fatto per i piccoli e deboli, siano essi individui, aziende, città, nazioni o progetti politici. Il fattore demografico è chiaramente alla base di questi sviluppi e di queste concentrazioni.
Noi da analisti e investitori dobbiamo capire “dove va” il mondo e seguirlo per cogliere le opportunità di investimento, magari facendo una selezione di quelle più etiche e che non violano gli obbiettivi di Agenda 2030 dell’ONU (ma di questo parleremo in un altro articolo).