Un unico data center di Microsoft ubicato vicino Chicago ha richiesto oltre 2.000 tonnellate di rame per la sua costruzione. Un dato che sembra scioccante ma che è assolutamente reale e indicativo di come il settore dei data center impatterà sulle materie prime. Le proiezioni del resto sono ancora più impressionanti: nei prossimi otto anni, solo negli Stati Uniti, i nuovi data center richiederanno un milione di tonnellate di rame. Una domanda che, sommata a quella dei veicoli elettrici e delle tecnologie per l’energia pulita, rischia di creare un deficit di oltre sei milioni di tonnellate entro il 2030.
Accanto agli Stati Uniti, però, c’è la seconda potenza economica mondiale, la Cina. Nonostante la sua attività industriale si sia contratta per il quinto mese consecutivo, Pechino punta a rilanciare l’economia attraverso un massiccio pacchetto di stimoli che hanno rafforzato il sentiment del mercato, segnalando l’urgenza di raggiungere l’obiettivo di crescita del 5% del PIL. Pechino è stata l’ultima grande metropoli a rimuovere le restrizioni all’acquisto di case, nel tentativo del governo di rilanciare il mercato immobiliare, pilastro della domanda di metalli.
“Sul fronte dell’offerta, alcuni rischi si sono attenuati con il Cile che sta recuperando dopo le battute d’arresto operative e di sviluppo che hanno abbassato la produzione ai minimi da 20 anni – commenta Roberta Caselli, Commodities Investment Strategist di Global X – Anche se alcuni impianti di fusione stanno ampliandosi, l’aumento della fornitura dalle miniere è comunque ridotta, il che potrebbe portare a una carenza di concentrato di rame nei prossimi mesi. La fornitura di rame raffinato è limitata, poiché pochi nuovi volumi minerari e di scarti entrano nel mercato. Il calo delle tariffe di trattamento del rame evidenzia che c’è meno rame grezzo disponibile per la lavorazione.
Negli ultimi anni, le miniere hanno investito poco, e ciò ha svuotato la pipeline di nuovi progetti. Questo ha causato una mancanza di minerale disponibile, ampliando la differenza tra le tariffe standard di trattamento e raffinazione dell’anno scorso, pari a 80 dollari per tonnellata e 8 centesimi per libbra , e i prezzi di vendita attuali. Alcuni impianti di fusione hanno avvertito che potrebbero essere costretti a chiudere se le tariffe di lavorazione continueranno a diminuire troppo, aggravando ulteriormente la carenza di rame raffinato disponibile sul mercato”.
Inolter, c’è da considerare che molti dei progetti più interessanti – sia dal punto di vista del rischio paese sia della qualità del minerale o dei costi – sono stati già sviluppati o sono in fase di sviluppo. Di conseguenza, la mancanza di nuovi asset di qualità ha costretto i minatori a guardare a progetti meno attraenti o a giurisdizioni meno favorevoli, con la quota di produzione globale proveniente dalle quattro giurisdizioni di maggiore qualità (Cile, Canada, Stati Uniti e Australia) in calo negli ultimi decenni.
“L’ingresso in giurisdizioni di qualità inferiore comporta spesso maggiori rischi politici e normativi, una maggiore intensità di capitale (dovuta alla mancanza di infrastrutture) e maggiori rischi di disordini sociali – aggiunge Trevor Yates, Investment Analyst di Global X – Inoltre, le crescenti pressioni inflazionistiche durante la pandemia e le sue conseguenze non solo hanno abbassato le aspettative di margine, ma hanno anche aumentato le spese di capitale iniziali. Questo ha abbassato significativamente le aspettative di rendimento nella valutazione di una nuova miniera. Di conseguenza, ci aspettiamo che i minatori di rame abbiano bisogno di un prezzo della materia prima più alto a lungo termine per poter considerare nuovi progetti, e questo peserà sulla risposta dell’offerta, aumentando il valore di scarsità dei minatori esistenti che possiedono profili di produzione a lungo termine”.