In quanto firmataria dell’Accordo di Parigi, la Cina si è impegnata a raggiungere la neutralità carbonica (ossia emissioni di anidride carbonica pari a zero) entro il 2060 e a raggiungere il picco di emissioni entro il 2030. Secondo il World Resource Institute, la Cina è attualmente il maggior emittente di gas serra: pertanto, è necessario ridurre urgentemente le emissioni non solo per una questione di salute pubblica e ambientale, ma anche per una questione finanziaria.
Quali sono le opportunità per gli investitori all’interno del mercato dei crediti di CO2 generate da questo enorme sforzo del Dragone per ridurre le sue emissioni? Ce lo spiega l’analisi di Luke Oliver, Head of Climate Investments di KraneShares.
Per attuare questa transizione la Cina ha utilizzato molti strumenti economici innovativi ed è diventata il più grande investitore e produttore di energia rinnovabile. Attualmente, la Cina è leader mondiale nella produzione di energia solare fotovoltaica, di batterie al litio e di veicoli elettrici. Oltre a questi sforzi produttivi, la Cina sta anche cercando di implementare controlli finanziari per ridurre le emissioni dei suoi principali inquinatori e incentivare le aziende a scegliere fonti di energia sostenibili. Ad esempio, nel 2021 la Cina ha introdotto un suo Sistema per lo Scambio di Quote di Emissioni (Emissions Trading Systems, ETS).
Sebbene il sistema ETS cinese sia ancora agli inizi, è già il più grande al mondo in termini di emissioni coperte, anche se al momento include solo il settore energetico (elettricità e riscaldamento), che emette ogni anno ben 5 Gt di CO2 (pari al 15% delle emissioni globali) (ICAP 2024). Tuttavia, l’introduzione del sistema ETS cinese non è bastata a ridurre le emissioni: questo perché, rispetto alle controparti europee e americane, i permessi di emissione del sistema ETS cinese sono troppo generosi e poco costosi per le aziende, mentre le sanzioni sono basse. In Cina le multe per la mancata conformità sono un pagamento una tantum che va dai 2.822 ai 4234 dollari, mentre nell’UE, alle aziende che non riescono a restituire le quote vengono addebitati 100 euro per ogni tonnellata di CO2 e sono comunque tenuti a versare le quote richieste.
Sebbene Il sistema ETS copra attualmente solo il settore energetico, la Cina intende espandere il proprio mercato di quote di CO2 per includere la raffinazione del petrolio, i prodotti chimici, la lavorazione dei metalli non ferrosi, i materiali da costruzione, il ferro e l’acciaio, la cellulosa e la carta, e l’aviazione. Nel settembre 2024, la Cina ha annunciato l’intenzione di includere la produzione di cemento, acciaio e alluminio nel suo ETS entro la fine dell’anno.
Il sistema ETS cinese non fissa un tetto massimo alle emissioni totali, pertanto il suo uso principale attualmente è quello della raccolta di dati e la pianificazione. Non ha un sufficiente orientamento al mercato per produrre risultati efficienti nell’economia o nell’ambiente. Mentre altri ETS fissano un tetto assoluto per le emissioni, l’ETS cinese si basa sull’intensità e per determinare il tetto considera contemporaneamente la crescita economica e la quantità di emissioni. Di conseguenza, il tetto è fissato in base a una proiezione del PIL, ma può essere aggiustato in base ai risultati per consentire una maggiore flessibilità. In altre parole, in caso di crescita esponenziale dell’economia, con questo modello le emissioni complessive potrebbero comunque aumentare.
Mercati diversi hanno approcci diversi per regolare i prezzi e le emissioni. Dal 2013 il sistema ETS dell’UE si basa completamente su aste, mentre la California utilizza aste con intermediario per alcuni settori industriali e aste tradizionali per altri. L’asta con intermediario combina l’assegnazione di quote a titolo gratuito con assegnazione tramite asta tradizionale, ed è utile per le fasi iniziali dell’ETS perché riduce la volatilità del mercato delle materie prime che viene generata. Anche il mercato dell’energia del Nord-Est degli USA (RGGI) mette all’asta più del 90% dei suoi crediti di CO2. Ciò significa che ogni sistema, per sua stessa concezione, ha diverse misure di aggiustamento dei prezzi o dell’offerta.
In Cina, per creare un approccio al prezzo di emissioni di CO2 che sia orientato al mercato, il Ministero dell’Ecologia e dell’Ambiente ha espresso il desiderio di introdurre il processo d’asta nel suo ETS. La vendita all’asta dei crediti di CO2 ha un potenziale enorme. Se anche solo il 2% di tutti i crediti cinesi venisse messo all’asta a 10 dollari per tonnellata, il ricavo sarebbe di 900 milioni di dollari all’anno. Per fare un confronto, il sistema ETS dell’UE ha una media di circa 68,73 euro per tonnellata di CO2. Nel 2023, i ricavi delle aste dell’UE sono stati di 47,4 miliardi di dollari. Si tratta di fondi che possono essere reindirizzati verso la R&S e altri investimenti per l’attenuazione dei cambiamenti climatici.