Quello dei mercati azionari è un rally destinato a esaurirsi presto? Secondo Michele De Michelis, responsabile investimenti di Frame Asset Management, società indipendente specializzata in gestioni patrimoniali a ritorno assoluto e consulenza finanziaria, sì. C’è una scarsa partecipazione generale a quest’ultimo rialzo, avvisa. Qui sotto il suo intervento, con le motivazioni che porta per questa sua tesi.
I mercati azionari americani segnano nuovi massimi. L’S&P500 è arrivato alle soglie del livello di 5150 mentre il Nasdaq si è fermato poco prima di 16.300 punti.
Performance comunque estremamente interessanti, soprattutto se consideriamo che l’S&P 500 ha chiuso il quarto mese positivo di fila, un evento che di per sé non sarebbe così raro se non fosse per la crescita numerica segnata, pari a +21.5%.
Per darvi un termine di paragone, rialzi di tale entità sono stati registrati solo 6 volte negli ultimi 80 anni, e sempre o a seguito di una recessione o durante la bolla degli anni 2000. Quindi? In quale delle due polarità ci troviamo?
Volendo approfondire l’analisi, notiamo anche un altro fenomeno, ovvero la scarsa partecipazione generale a quest’ultimo rialzo, la cosiddetta market breath.
Se nel 2023 infatti il listino era stato trainato praticamente dalle sole magnificent seven, da inizio anno si sono ridotti a quattro i titoli trascinatori, anche se, a ben vedere, sarebbe più corretto dire due (Amazon e Microsoft) visto che Meta e Nvidia hanno fatto numeri impressionanti (prossima al 40 % la prima e sopra il 70 % la seconda) mentre Google e Apple sono sconfinate in territorio negativo e Tesla ha perso addirittura oltre un quarto del suo valore.
Tutti indicatori non propriamente a favore di una continuazione del rally.
Non si può negare per esempio il fatto che quando vengono pubblicate notizie sulla situazione geopolitica attuale, queste vengano ormai praticamente ignorate mentre al contrario le indicazioni sulla situazione di salute del ciclo vengano lette sempre in senso positivo. Chi lavora sul mercato obbligazionario è molto più nervoso sulla situazione futura dei tassi, seppur sia abbastanza tranquillo sul rischio credito, che, come l’azionario, segnala che siamo all’interno di una fase caratterizzata da risk on.
Per questi motivi, l’unico indice obbligazionario in rialzo da inizio anno è quello degli high yield. Certo, la stagione degli utili è stata buona (o forse decente?) e Nvidia ha letteralmente frantumato le stime e le guidance future, però non posso fare a meno di osservare cosa accadde a Cisco alla fine degli anni Novanta: dai 100 miliardi di capitalizzazione del 1998 quasi si quintuplicò raggiungendo circa 450 miliardi nel 2000, con un utile per azione che balzò da 0.14 a 0,53 centesimi di dollaro. Oggi Cisco capitalizza circa 200 miliardi con un prezzo poco sotto i 50 dollari a fronte di un fatturato di 57 miliardi e un EPS di circa 3,8. Il prezzo del suo titolo azionario, tuttavia, non ha mai più ripreso i massimi del 2000 quando si trovava vicino agli 80 dollari. Ora infatti tratta a multipli da value stock o poco più.
Warren Buffet ha costruito la sua ricchezza comprando aziende sane e mantenendole in portafoglio per lunghissimo periodo, ma ha spesso consigliato anche di investire semplicemente nell’indice SP500, aggiungendo – però, dettaglio fondamentale – che quando scende va ricomprato.
Quindi, “finché la barca va lasciala andare”? Forse. Ma non spaventatevi subito se vedete arrivare onde alte o magari altissime. E a coloro che soffrono di mal di mare, cosa consigliare se non di iniziare a scendere?