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Oggi vi proponiamo una lunga analisi di Legal & General Investment Management (LGIM) sull’India e sui motivi che la rendono un mercato emergente atipico. Come affermato dalla stessa LGIM in una recente analisi, gli indici dei mercati emergenti hanno costantemente sottoperformato i loro peer, sia nell’azionario, sia nell’obbligazionario, a causa soprattutto del ciclo di apprezzamento del dollaro. Tuttavia, l’India è sempre sfuggita a queste dinamiche e oggi si candida a diventare la terza economia al mondo entro il 2030 e questo grazie soprattutto a 4 fattori macroeconomici:
- È un mercato grande, ma relativamente chiuso, in cui gli scambi commerciali rappresentano meno del 50% del Pil
- Ha una struttura economica atipica, in cui le maggiori esportazioni sono i servizi e non le commodity come per altri EM. Questo e il punto precedente rendono i suoi asset scarsamente correlati rispetto a tutti gli altri
- Ha una moneta stabile, sostenuta da una bilancia dei pagamenti positiva e dall’essere il quarto paese al mondo per riserve di valute estere
- La crescita della popolazione, il manifatturiero in espansione e un credito sempre più accessibile famiglie e imprese rendono l’India l’unica capace di competere con la Cina per il ruolo di driver dell’economia globale.
Chi meglio di Aanand Venkatramanan, Head of ETF per l’area EMEA di LGIM, può spiegarci come “funziona” l’India e perché dovrebbe interessare gli investitori? Ecco la sua analisi.
Introduzione
L’India è un’economia in rapida espansione, che si sta avvicinando molto velocemente a un punto di svolta. Prevediamo, infatti, che nel 2030 arriverà ad essere la terza maggiore potenza economica nel mondo, ma soprattutto che questo percorso accelererà nei decenni a venire, mentre l’importanza dell’Occidente si sta riducendo e la Cina sta andando incontro al plateau. A sostenere la crescita di quella che viene considerata la più grande democrazia al mondo è stato lo sviluppo di una forza lavoro che presenta le skill necessarie per far fronte ai bisogni di un mondo sempre più digitalizzato.
Tuttavia, questi sono aspetti che ormai sono diventati parte di una narrativa piuttosto diffusa e conosciuta dai player di mercato, mentre noi riteniamo che ci siano anche altri fattori strutturali che rendono l’India un caso particolare tra i mercati emergenti e che possono fare la differenza per l’allocazione di un investitore.
Un’economia grande, ma relativamente chiusa
L’andamento dell’India sembra andare in contrasto con l’immagine di un’economia relativamente chiusa, concentrata soprattutto sul soddisfare il bisogno della sua popolazione. Eppure, la percentuale di Pil composta dalle esportazioni e dalle importazioni è inferiore al 50%, mentre in paesi come le Filippine e il Messico arriva rispettivamente al 75% e all’80%.
A questa chiusura commerciale si affianca poi anche una certa chiusura finanziaria, con le valute straniere che spesso sono assenti dai mercati locali. Per dare ancora qualche numero, le attività e le passività internazionali all’interno dei portafogli sono meno del 5%; in Cina sono il 30%. Inoltre, fino a quando i titoli governativi indiani non sono stati inseriti nell’indice sui mercati emergenti di JP Morgan, questi rappresentavano appena il 2% dei maggiori indici obbligazionari, mentre la Cina, l’Indonesia e il Messico erano rispettivamente all’11%, al 23% e al 41%.
Questa “autosufficienza storica” ha fatto in modo che le asset class indiane fossero da sempre scarsamente correlate con l’economia globale, favorendo la diversificazione.
Una struttura economica atipica
Una delle caratteristiche principali dell’economia indiana è l’alta percentuale occupata dai servizi all’interno delle sue esportazioni; un fatto che le è valso il soprannome di “back-office del mondo”. Per rendere l’idea, i servizi rappresentano il 10% delle esportazioni cinesi; per l’India sono il 45%. Per di più, a differenza del mercato emergente medio, Nuova Dehli non è un grande esportatore di commodity (3% del Pil contro il 15%-20% di Russia e Cile), il che la rende scarsamente correlata non solo all’economia globale, come visto nel paragrafo precedente, ma anche agli altri EM.
Una valuta relativamente stabile
La voce “FX” è da sempre una discriminante molto importante per chi investe in valuta locale e, similmente ad altre economie emergenti, anche l’India ha mantenuto un deficit in conto capitale moderato a partire dal 2013. Tuttavia, la sua attrattività per gli investimenti esteri diretti (Fdi) ha fatto in modo che questo deficit fosse ampiamente finanziato da questi ultimi, il che ha portato a un saldo positivo della bilancia dei pagamenti.
Non bisogna poi dimenticare che questa nazione è il quarto maggior detentore al mondo di valute estere, il che permette alla Reserve Bank of India di limitare la volatilità della rupia.
L’unica vera alternativa alla Cina
Ad oggi, l’India è l’unica economia che può davvero contendere alla Cina il ruolo di driver della crescita globale e vi sono numerosi fattori che supportano questo scenario.
Il primo è la popolazione: entro il 2031, l’India potrebbe contare per un quinto della crescita della popolazione in età da lavoro. Man mano che si avvicina al modello di crescita dell’Asia orientale basato sugli investimenti infrastrutturali guidati dalle esportazioni, questo circolo virtuoso potrebbe consentire all’India di prendere il posto della Cina come motore della crescita globale.
Il secondo riguarda il settore manifatturiero in forte crescita, il cui output dovrebbe triplicarsi nell’arco 2022-2032, sostenendo l’esportazione dei servizi menzionata in precedenza.
Infine, grazie a India Stack – la soluzione API del paese per identità, dati e pagamenti – l’India può vedere una crescita costante nella creazione di credito al consumo e alle imprese. Ciò potrebbe in definitiva tradursi in un aumento del Pil pro capite.
Noi di LGIM riteniamo che questa sostanziale solidità macroeconomica rappresenti un forte volano per i bond governativi indiani (Igb). Inoltre, oltre a essere uno dei pochi mercati emergenti aventi un rating investment-grade sul debito pubblico, come accennato in precedenza questi titoli sono stati inseriti in uno dei maggiori indici sui mercati emergenti, ovvero il GBI-EM Global Diversified Index di JP Morgan, che dalla fine di giugno ha iniziato a inserirli con un peso iniziale dell’1%, per poi raggiungere il 10% nel marzo del 2025; al pari con la Cina. Per di più, a partire dal prossimo gennaio, anche Bloomberg aggiungerà gli Igb al suo indice sugli emergenti, dando un’ulteriore spinta al flusso di capitali verso questo paese.