Il libro di Federico Faggin “Silicio” (Mondadori, 2019) è un avvincente racconto che interseca la sua vita personale, la nascita della Silicon Valley e lo sviluppo dell’informatica dagli albori a oggi.
Lo consiglio a tutti. Dai Baby Boomer e Gen X che hanno vissuto la storia dell’informatica dagli anni Settanta in avanti, ai Millennials e GenZ che potranno capire il vero miracolo di ingegneria elettronica che tengono in mano o al polso.
Indice
Perché ho apprezzato il libro
Il libro di Faggin si legge tutto d’un fiato e racconta la vita di un ragazzo vicentino che insegue i suoi sogni e approda con un diploma di perito tecnico prima in Olivetti e poi nella Silicon Valley degli anni Sessanta per lavorare alla Fairchild sotto la direzione di Gordon Moore (ricordate la legge di Moore?) e poi all’Intel con Andy Grove. Faggin vive da progettista di circuiti integrati e poi di microprocessori la nascita dell’elettronica e dell’informatica, inventando soluzioni avveniristiche.
Il libro racconta delle quattro vite di Faggin. Da impiegato (seppure geniale) bistrattato dai suoi capi, che prima non capivano le soluzioni da lui inventate e poi se ne attribuivano il merito, a fondatore di tre startup tecnologiche finanziate dai Venture Capital, e infine la ricerca della “coscienza” e dei perché dell’Universo dopo una vita passata a costruire circuiti logici, microprocessori e reti neurali.
Alcuni messaggi e perle di saggezza
Dal libro capiamo che il fenomeno per noi italiani delle startup tecnologiche e dei Venture Capital appena iniziato nella Silicon Valley californiana è la normalità dagli anni Sessanta del secolo scorso.
E Faggin spiega bene che l’innovazione vera arrivi dalle piccole startup finanziate da capitale di rischio: “Col tempo mi resi conto che molte startup high-tech producono enormi risorse intellettuali, anche se non riescono a produrre ricchezza economica. Creano l’humus che fertilizza l’innovazione futura.”
Oltre al fatto che per sopravvivere è necessaria una cultura dell’innovazione: “Capii, anche se solo vagamente, che una società che non ha una forte cultura dell’innovazione resisterà alle nuove idee perché queste portano cambiamenti, e che ogni mutamento comporta rischi e richiede uno sforzo in più, disturbando lo status quo, che è ciò che molte persone vogliono mantenere a tutti i costi.”
In merito alle idee innovative Faggin ci spiega che: “La storia del circuito integrato è un esempio di come molte idee fondamentali abbiano radici che affondano in invenzioni precedenti, senza che queste vengano adeguatamente riconosciute.“
Parlando di come nascono nuove idee Faggin ci fornisce la sua ricetta: “Sono nato a una nuova vita ogni volta che, osservando il mondo da insospettati punti di vista, la mia mente si è allargata a nuove comprensioni. Sono nato a nuove vite quando ho smesso di razionalizzare, ho ascoltato la mia intuizione e mi sono aperto al mistero.”
I miei ricordi di GenX alle prese con l’informatica
Essendo nato negli anni Sessanta ho dei vividi ricordi di come l’elettronica e l’informatica sono entrate nella mia vita. La rpima volta fu quel giorno del 1978 che mio padre, ingegnere, portò a casa una specie di mattone di plastica scura con tasti e display luminescente a caratteri rossi. Era la calcolatrice elettronica Texas Instrument TI-30 appena commercializzata che permetteva agli ingegneri di sostituire il regolo calcolatore.
La seconda volta fu quel sabato del 1980 quando mio padre mi accompagnò alla GBC di Milano (allora un’istituzione dell’elettronica) dove presentavano il computer (parolona) ZX80 venduto dalla ditta inglese Sinclair e basato sul clone prodotto dalla NEC del processore Zilog Z80A inventato da Faggin. Il Sinclair ZX80 consisteva in una sottile scatoletta di plastica bianca con la tastiera serigrafata, 1 kbyte di memoria RAM (ripeto UN kilobite) e la porta per attaccarci un registratore a cassette che faceva da memoria di massa. Costava centomila lire e non potevo permettermelo. Solo l’espansione di memoria a 64 kbyte costava 500.000 lire perché, come spiega il libro, all’epoca i chip di memoria erano i più costosi tra i circuiti integrati!
Sempre alla GBC vendevano i primi libri e le prime riviste di informatica della Jackson Libri, dove scriveva come corrispondente dalla Silicon Valley la moglie di Faggin. Grazie a queste riviste e al mio primo computer comprato l’anno successivo, uno ZX81 sempre basato sul chip NEC ma con 16 kbyte di RAM, imparai la programmazione in Basic e Pascal, rovinandomi gli occhi per le ore passate davanti al televisore di casa che faceva da schermo.
Un altro incrocio tra me e l’informatica (e la vita dell’autore) fu in università dove le prime lezioni di informatica si tenevano sui mitici Olivetti M24, azienda dove Faggin lavorò qualche mese da giovane. Gli M24 avevano una bella scheda grafica, floppy disk da 5 pollici come memorie di massa e l’accesso alla stampante ad aghi del laboratorio. Poi gli M24 vennero sostituiti da PC IBM basati sul processore Intel 8080 sempre progettato da Faggin. I PC IBM avevano anche l’hard disk interno, una rivoluzione per l’epoca, e la stampante ad aghi fu sostituita da una stampante termica!
Il resto è storia recente.
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