Il tema dei consumi di massa nei Paesi emergenti è importante sia perché delinea un trend secolare legato alla demografia sia ovviamente come occasione di investimento. Swetha Ramachandran, gestore del fondo Artemis (Lux) Leading Consumer Brands, afferma che i marchi tradizionali hanno aumentato i prezzi al punto che i consumatori cercano alternative caratterizzate da un buon rapporto prezzo-qualità. Qui sotto il suo intervento.

La muraglia economica, o la barriera all’ingresso, è una delle prime caratteristiche che i gestori di fondi cercano quando analizzano la qualità di un’azienda. Alcune muraglie, come ad esempio un marchio forte, conferiscono alle aziende anche un potere che consente loro di praticare un prezzo più alto per i propri prodotti e servizi.

Ma ogni cosa ha un costo, anche il potere di prezzo, come rilevato di recente con sommo dispiacere anche da molti dei marchi più noti al mondo.

Alla ricerca di un buon rapporto prezzo-qualità

Gli utili per il primo trimestre delle società di prodotti di consumo hanno evidenziato realtà contrastanti. Infatti, se da un lato i marchi esposti a consumatori più resilienti e con redditi più elevati hanno registrato buoni risultati, dall’altro società di prodotti di consumo più convenzionali, come Starbucks, McDonald’s, Mondelēz e Kraft Heinz, hanno formulato commenti cauti circa la tendenza dei loro clienti ad orientarsi verso prodotti con un buon rapporto prezzo-qualità.

Questo cambiamento di abitudini potrebbe però mascherare qualcosa di più profondo, dato che i salari reali e l’occupazione dei clienti a basso reddito sono cresciuti più rapidamente che negli altri settori. La nostra impressione è che sia le famiglie a basso reddito sia quelle ad alto reddito abbiano raggiunto un punto di resistenza ai prezzi. 

Prezzi che aumentano più dell’inflazione

Un Frappuccino da Starbucks ora costa 6,55 dollari, in rialzo da 4,79 dollari nel 2019, con un aumento del 37% a fronte del 21% registrato dall’Indice dei Prezzi al Consumo (IPC). Un tale stato di cose tende a far esitare il cliente occasionale prima di ordinare una bevanda che, parliamoci chiaro, contiene soprattutto acqua ghiacciata.

 Anche un marchio come Chanel, per esempio, che è la quintessenza del lusso, può subire la stessa reazione se gli aumenti dei suoi prezzi sono considerati eccessivi.

Chanel ha quasi raddoppiato il prezzo della sua iconica borsa Flap, passando da 5.800 dollari nel 2019 a 10.800 dollari nel 2024, per un prodotto che secondo molti consumatori è di qualità inferiore (l’oro dell’hardware è stato sostituito da oro placcato, la qualità della pelle e della vernice è notevolmente inferiore e alcune cuciture hanno iniziato a sfilacciarsi).

L’amministratore delegato dell’azienda, Leena Nair, ha tentato di difendere gli aumenti di prezzo durante una recente intervista a Bloomberg, affermando che: “Utilizziamo materie prime pregiate e la nostra produzione è molto rigorosa, laboriosa, fatta a mano – quindi aumentiamo i prezzi in base all’inflazione che vediamo”.

Dato che è un’azienda privata, Chanel non rende pubblici i suoi bilanci però, poiché ha riportato un margine EBIT del 32,5% nel 2023, ci aspetteremmo di vedere margini lordi pari a circa il 75% nella sua divisione pelletteria, in linea con quelli delle altre aziende del lusso. Pertanto, l’affermazione che l’inflazione sia responsabile della maggior parte degli aumenti di prezzo non è credibile.

Le reazioni dei clienti si sono finora limitate ai social media e alle bacheche ma non è escluso che gli stessi potrebbero benissimo esprimere il loro disappunto su questi prezzi andando a servirsi altrove, a scapito di Chanel. Anche questo non sarebbe un disastro per i marchi di lusso di alto livello, che preferiscono vendere volumi inferiori a prezzi più alti. Tuttavia, il nostro istinto ci spinge a non prendere in esame le aziende disposte a rischiare la loro reputazione nel lungo termine per un aumento dei profitti a breve.

Il Prezzo come “privilegio” più che potere

Un aspetto interessante emerso nel settore dei beni di consumo negli ultimi anni è che il “potere” di prezzo che molte società del settore davano per scontato nel periodo del lockdown si sta ora evolvendo in un “privilegio” di prezzo.

La maggior parte delle aziende del lusso ha capito che l’elasticità della domanda ha finalmente raggiunto il limite e sta aumentando i prezzi più lentamente nel 20242, mentre il settore ritorna al tasso di crescita del 5-6% di prima del Covid.

Per esempio, il lancio globale del marchio Aperol di Campari ci fa ben sperare sulle prospettive dello stesso, nonostante un mercato degli alcolici fiacco. D’altro canto, l’attenzione posta da Lindt & Sprungli sul valore più che sul volume – e posizionando i loro prodotti come un peccatuccio occasionale e non troppo costoso – mette la società in condizione di traslare sui prezzi gli aumenti di costo del cacao più di quanto non possa fare un marchio come Hershey che lavora sui volumi generati da un consumo giornaliero.  

Il vertice della piramide del reddito

Le aziende che si occupano della parte alta della piramide del reddito, come Ferrari ed Hermès, possono continuare a registrare grazie ai loro prezzi una crescita a due cifre del fatturato per via della minore elasticità della domanda espressa dai ceti abbienti ai quali si rivolgono. Tuttavia, questi marchi devono innovare continuamente per offrire “valore” ai loro clienti, consolidando il loro privilegio in termini di prezzo. Il nostro monitoraggio di queste società è costante per assicurarci che le condizioni restino immutate.

Comunque, malgrado il nostro apprezzamento per le prospettive di lungo termine di queste società, abbiamo ultimamente ridotto i nostri investimenti nelle stesse a seguito di un recente forte rialzo delle azioni nel mercato. Ogni cosa ha il suo prezzo.