La morte di Beppe Modenese avvenuta nel weekend ha gettato un’ombra sulla moda italiana. Con questo articolo vogliamo ricordarlo, ma anche capire le sfide che attendono il settore nei prossimi decenni.
Chi era Beppe Modenese
Beppe Modenese, classe 1929, è considerato il signore della moda italiana avendola incarnata per quasi settant’anni.
Come scrive Il Sole 24 Ore, dopo aver lavorato per le grandi maison italiane negli anni Cinquanta e francesi negli anni Sessanta, fondò il polo della moda milanese MODIT nel 1978 e inventò Milano Collezioni nel 1979. Nei decenni organizzò innumerevoli eventi che dettero lustro alla moda italiana e infine divenne presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana.
Modenese ha fatto la storia della moda. Ma qual è il futuro?
La tragica notizia mi ha ricordato che a ottobre 2019 avevo partecipato al Milano Fashion Global Summit attirato dal titolo che ben sottolineava l’argomento chiave per il settore moda del futuro: “Next Generations. New consumers, Circular economy, Big data: come tutto cambia“.
A mio avviso, il tema dei consumi di massa e di lusso (in cui ricade anche la moda) è uno degli scenari d’investimento più interessanti tra quelli descritti nel nostro libro Investire nei megatrend del futuro essendo influenzata dai cambiamenti del fattore demografico.
Oggi sulla Terra convivono 6 generazioni, di cui 5 hanno potere d’acquisto: dai Senior nati tra le due Guerre Mondiali alla giovanissima Gen Z nata dopo il 1995.
Nel convegno milanese l’accento era stato messo proprio sul fattore demografico e il veloce scorrere delle generazioni di consumatori con gusti, tendenze e profili d’acquisto diversi, a cui la moda deve dare risposta.
E questa è la vera sfida del futuro!
Le nuove generazioni di compratori
Avendo scattato un paio di foto durante la conferenza ve le propongo. La prima spiega l’avvicendamento prevista tra le nuove generazioni in termini di impatto sui fatturati della “fashion industry”.
Come vedete, Baby Boomers e Gen X che predominano in qualità di consumatori in questi decenni lasceranno il posto a Gen Y e Gen Z dal 2025 al 2035.
Queste due nuove generazioni guideranno il 150% della crescita del mercato fashion-luxury.
Il problema nasce dal fatto che queste due generazioni sono completamente diverse da quelle che le precedono e gli operatori della moda devono sbrigarsi a capirne usi e costumi per intercettarne gli acquisti!
Guardiamo il profilo dei Gen Z (che sono nati dal 1995 al 2012) proposto dai relatori del convegno.
Post-digital, Hi-Tech, Hi-Touch, Shared Emotions sono le parole chiave. E qui riporto quanto scritto nel nostro libro al capitolo “Sei generazioni a confronto”:
«(La Gen Z) È la generazione che dalla nascita ha usato un device mobile e con questo vive in simbiosi per navigare sul web, produrre video e comunicare con il resto del mondo in forma visuale (emoji) a scapito della parola scritta.»
Non solo Shared Emotions, anche i vestiti sono oggi condivisi
Per motivi di spazio focalizziamoci solo su una delle keyword. Tra le parole chiave che definiscono le nuove generazioni c’è “Shared“.
Nella foto si parla di Shared Emotions e sappiamo quanto i giovani amino condividere le loro emozioni sui social preferendo oggetti, esperienze e luoghi che siano instagrammabili.
In realtà la condivisione avviene anche nell’utilizzo di beni e servizi come auto, monopattini, case di vacanza e… vestiti. Il modello di business As-A-Service (che è uno dei leitmotiv del nostro libro) identifica questa tendenza dei giovani a non considerare l’acquisto di un bene (o servizio) come prioritario. Bensì ad affittarlo per il tempo necessario.
Probabilmente molti di noi avranno usato il Car Sharing e il Bike Sharing. Lo stesso concetto si applica anche all’armadio dei vestiti.
Il Clothing-as-a-Service (CaaS) è nato nel 2009 dall’idea di Jennifer Hyman di creare un “armadio di vestiti nel cloud”, poi concretizzatasi nell’azienda Rent the Runway che noleggia vestiti di lusso, scarpe e accessori dietro pagamento di un abbonamento mensile e nel 2018 ha fatturato 100 milioni di dollari dai suoi nove milioni di membri.
Il CaaS apre ai consumatori la nicchia dei vestiti di lusso ma può essere applicato con un risvolto green anche nel mercato del fast fashion (35 miliardi di valore nel 2018), un segmento della moda dove il consumatore acquista molti vestiti a basso costo ma è più propenso a buttarli dopo poco tempo.
Se il CaaS vi sembra un business bizzarro sappiate che il 17% dei Millennials ha già noleggiato vestiti e accessori e il settore del fashion renting è in ascesa con un valore stimato di 2 miliardi di dollari nel 2023.
Conclusioni
In questo breve articolo in memoria di un eccezionale protagonista della moda italiana abbiamo solo accennato a una delle sfide a cui il settore moda dovrà rispondere nel prossimo futuro.
All’investitore nel settore moda conviene familiarizzare con il cambiamento demografico per identificare come e quali maison saranno capaci di adattare il loro modello di business nel futuro per soddisfare i gusti delle nuove generazioni e non soccombere alle crescente influenza dei nuovi brand asiatici (ma questo è un altro discorso che tratteremo in un altro articolo).