L’impatto dell’intelligenza artificiale sulle economie e le possibili evoluzioni future della AI (tutti abbiamo in mente la saga cinematografica Terminator) sono al centro dei dibattiti. Ospitiamo oggi l’intervento di Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di UBS GWM in Italia.
L’intelligenza artificiale è considerata da molti la più grande innovazione di questi tempi ed è sempre più un tema di interesse finanziario. Si attesta infatti tra i principali fattori che hanno guidato l’andamento di alcuni titoli talmente grandi da influenzare le borse globali. La diffusione dell’intelligenza artificiale cambierà in modo dirompente l’efficienza dei processi aziendali e l’esperienza dei consumatori: secondo alcuni studi accademici potrebbe portare a un aumento della produttività fino al 7%, paragonabile a quanto si registra normalmente in poco meno di un decennio.
Come accade spesso durante una rivoluzione tecnologica, si teme per la tenuta dell’occupazione: Accenture stima che la durata media della giornata lavorativa potrebbe ridursi fino al 63%; secondo la ricerca «Future of Jobs Report 2023» del World Economic Forum, il 34% di tutte le attività aziendali verrà gestito da macchine.
Tuttavia, l’automazione di compiti ripetitivi potrebbe liberare tempo per attività più creative, che richiedono intuizione, empatia e capacità di risolvere problemi. Le implicazioni in termini di crescita economica, ad oggi, non sono chiare, e la definizione del prodotto interno lordo (PIL), ideata circa un secolo fa, non aiuta certamente a farsi un’idea: ad esempio, l’aumento del tempo libero non viene preso in considerazione.
Non necessariamente la storia è destinata a ripetersi, ma le tante rivoluzioni tecnologiche del passato ci suggeriscono che l’economia ha forti capacità di adattamento: è stato stimato che circa il 10% delle posizioni lavorative alla fine di ognuno degli ultimi decenni non esisteva pochi anni prima. Guardando al passato, l’introduzione della catena di montaggio da parte di Henry Ford nel 1913 ridusse i tempi di produzione di un’auto da 12 ore a un’ora, l’introduzione dell’IBM System/360 portò all’informatizzazione del lavoro, ma la temporanea riduzione dell’occupazione, causata da queste innovazioni, è stata poi compensata dalla maggior accessibilità di alcuni prodotti, che ha guidato un aumento della domanda.
Tutto ciò va anche considerato nell’ottica di una riduzione della popolazione attiva nelle economie avanzate, per effetto dell’invecchiamento della popolazione. Un altro aspetto da considerare è come verranno distribuiti i vantaggi derivanti dalla maggior efficienza: le aziende diverranno più redditizie, o la concorrenza porterà a prezzi più bassi per i consumatori?
Nella ricerca UBS Q-Series «Will Generative AI deliver a generational transformation?» è stato ipotizzato che le riduzioni dei costi per le aziende nel tempo si tradurranno in prezzi più bassi, a beneficio dei consumatori. La maggior efficienza potrebbe quindi diventare una forza deflattiva, ma lo stesso concetto di inflazione potrebbe essere messo in discussione. Infatti, per via di software che adattano rapidamente i prezzi alla domanda in un dato momento e in una specifica area, come già avviene per hotel e biglietti aerei, l’importanza del dato generale di inflazione perderebbe rilevanza rendendo ancora più complesso il ruolo delle banche centrali.
Per di più, l’adozione dell’intelligenza artificiale richiede grandi capitali, dato che chip e server costano multipli di quelli tradizionali, e forti competenze nel campo della scienza dei dati e della programmazione. Proprio per questo si potrebbero registrare tensioni sociali: mentre alcune categorie beneficeranno degli avanzamenti tecnologici, altre potrebbero soffrire di una diminuzione di reddito e status.
Questa situazione potrebbe portare a un’ulteriore polarizzazione della società e a un rafforzamento dei populismi. Inoltre, come avvenuto con il blocco all’esportazione di alcuni microprocessori avanzati tra Stati Uniti e Cina, l’intelligenza artificiale potrebbe acuire le tensioni geopolitiche. Si pongono poi complessi temi etici e legali, ad esempio, gli algoritmi potrebbero creare pregiudizi a causa dei dati utilizzati, portando a decisioni discriminatorie e ingiuste.
C’è anche il rischio che l’intelligenza artificiale venga utilizzata per manipolare l’opinione pubblica. I governi dovranno quindi predisporre rapidamente una regolamentazione che tenga conto di molteplici aspetti: antitrust per evitare la creazione di oligopoli, privacy, rapporti di lavoro, relazioni internazionali, ecc. Insomma, sicuramente l’intelligenza artificiale rappresenta una rivoluzione tecnologica destinata a cambiare società ed economia, ma ci sono ancora tante incognite, sia a livello macro che per le aziende e gli individui.
Nel contesto degli investimenti, il settore tecnologico è particolarmente sensibile ai tassi d’interesse, data la sua elevata crescita. Quando si attualizzano gli utili attesi per valutare una società, un peso maggiore è attribuito al futuro e risente quindi maggiormente del tasso d’interesse. Di conseguenza, i titoli tecnologici solitamente sono favoriti durante i tagli dei tassi d’interesse.
Un investitore particolarmente cinico potrebbe spingersi ad affermare che, quando i tassi scendono, si genera sempre entusiasmo riguardo qualche innovazione. Questo potrebbe essere utilizzato per giustificare la performance degli asset legati alla tecnologia. Si potrebbe prendere ad esempio i prezzi mirabolanti di un anno fa per i terreni virtuali e le opere d’arte digitale, ma credo che sarebbe riduttivo e sbagliato applicare questo concetto all’intelligenza artificiale.
I titoli tecnologici vengono da una forte performance nel 2023 e presentano multipli elevati. Tuttavia, le aspettative sono di una forte crescita dei ricavi proprio grazie alle vendite di microprocessori, software e dispositivi per l’intelligenza artificiale, per questo – monitorando con attenzione l’andamento degli utili, trimestre dopo trimestre – continuiamo a essere positivi su questo segmento.