Per il libro della domenica oggi vi propongo “Come far saltare un oleodotto” di Andreas Malm pubblicato da Ponte delle Grazie nel 2021. Il sottotitolo “Imparare a combattere in un mondo che brucia” può fare pensare a un manuale pratico per l’aspirante terrorista.
In realtà il titolo a effetto è stato scelto dall’autore, professore associato di Ecologia umana all’Università di Lund, in Svezia e attivista e pensatore fra i più originali e influenti all’interno del movimento per il clima, per colpire la fantasia del lettore sul fatto che è giunta l’ora di muoversi, di attivarsi, per cercare di mettere una pezza al drammatico cambiamento climatico che stiamo tutti vivendo.
Il libro spiega che nei primi due decenni del Ventunesimo secolo, il movimento per il clima ha attraversato diverse fasi, cicli ascendenti e discendenti; e nel frattempo il suo avversario, il «capitalismo fossile», è andato dritto per la propria strada. Anche il Covid-19 ha ostacolato il movimento, dal momento che le manifestazioni si basano sulla discesa in piazza di migliaia di persone. Addirittura milioni di persone nel caso dei Fridays for Future inventati da Greta Thunberg.
L’autore sottolinea il fatto che a differenza di tanti altri movimenti di protesta, quello per il clima ha sempre optato per un pacifismo radicale. Ovvero, la nonviolenza è stata adottata come imprescindibile scelta tattica, più ancora che come imperativo morale. E cita numerosi casi in cui l’autore stesso era in piazza (anche con i figli piccoli) dove è stata la polizia ad attaccare i pacifisti che protestavano.
Il libro ha fatto parecchio discutere alla sua uscita perché non si limita a raccontare la nascita e crescita di un movimento pacifista globale, ma perché si pone l’interrogativo se sia sufficiente una lotta pacifista, visto che il “capitalismo fossile” e i politici sembrano non capire il rischio che stiamo correndo.
Ergo, e da qui il titolo del libro, se non sia invece necessario pensare ad altre forme tutt’altro che “non violente” per risvegliare le conoscenze della gente, dei politici e ostacolare le grandi aziende inquinatrici.
E cita un saggio di John Lanchester, romanziere e saggista britannico che si pone una domanda essenziale per il cittadino moderno: “Fatto strano e sorprendente, gli attivisti del clima non hanno ancora commesso atti terroristici.… Il fatto è tanto più notevole se si pensa a quanto sia facile far esplodere una stazione di servizio, o vandalizzare un SUV. Nelle nostre città, tutti – tranne chi li guida – detestano i SUV; basterebbe passare le chiavi sulle fiancate, con un costo, per i proprietari, di molte migliaia di sterline ogni volta. Cinquanta persone che sfregiano quattro auto a sera per un mese: in un mese, seimila SUV da buttare…”
E sempre Lanchester si chiede: “Ma perché non succede? Perché chi si appassiona al clima è troppo gentile e istruito per far qualcosa del genere? (Ma anche i terroristi sono spesso istruitissimi). O forse i più ferventi attivisti non hanno, in qualche modo, il coraggio di crederci?“
A mio modestissimo parere manco poco a vedere in azione “terroristi climatici” o semplici cittadini che di fronte a carestia di risorse alimentari, di acqua, di aria prenderanno il fucile e scenderanno in strada. Come insegnano tutti i film catastrofisti, quando non hai nulla da perdere e il mondo è sull’orlo del disastro il “Si salvi chi può!” scatena i peggiori istinti dell’Uomo, pura e semplice sopravvivenza.
Senza volere sposare la tesi del libro, credo che si sia arrivati a un punto in cui o si fa qualcosa per mettere da parte gli interessi di pochi a svantaggio dei tanti oppure non basteranno tutte le polizie del mondo per fermare miliardi di esseri umani alla ricerca della salvezza dalla catastrofe annunciata dagli scienziati già 50 anni fa (vi ricordo il libro “I limiti dello sviluppo” da noi recensito qualche tempo fa).
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