“All’incontro dei banchieri centrali di fine agosto a Jackson Hole, in Wyoming, Usa, la Fed ha deluso le aspettative e non ha dato alcuna chiara indicazione sull’inizio del tapering, contribuendo ad accrescere il clima di incertezza per le scelte degli investitori.”
Questo il pensiero di Volker Schmidt, senior portfolio manager di Ethenea Independent Investors, che aggiunge: “Il tapering appare legato tra le altre cose allo sviluppo del mercato del lavoro statunitense: una sua ripresa robusta dovrebbe determinarne un’accelerazione”.
Dal Targeting al Tapering
Fu a Jackson Hole che l’anno scorso il presidente della banca centrale statunitense, Jerome Powell, introdusse il concetto di “average inflation targeting”, cioè la tolleranza di livelli di inflazione inferiori o superiori al target del 2% senza ricorrere a contromisure, se si ritiene che nel lungo periodo l’indice dei prezzi potrà ritornare in linea con l’obiettivo fissato.
Quest’anno l’attenzione era concentrata in particolare sull’attesa riduzione degli acquisti obbligazionari della Fed, il tapering, ma se da un lato Powell ha preparato i mercati a un’imminente riduzione degli acquisti di asset, il momento esatto in cui tali acquisti cesseranno resta avvolto nel mistero.
Il mercato del lavoro è da seguire
Un fattore cruciale nel tapering sarà lo sviluppo del mercato del lavoro statunitense. Stando alle statistiche del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti, il tasso di occupazione al di fuori dell’agricoltura è ancora più basso di quasi 6 milioni rispetto a quello del febbraio 2020.
Pur avendo preso atto della rapida ripresa del mercato del lavoro, il presidente della Fed ritiene che sia ancora insufficiente a giustificare una riduzione degli acquisti di titoli. Powell ha inoltre sottolineato che i dati contengono cifre errate superiori ai numeri effettivi. Una certa cautela da parte della Fed è pertanto comprensibile.
“Un’eventuale ripresa del mercato del lavoro sorprendentemente robusta dovrebbe in ogni caso determinare un’accelerazione del tapering”, sottolinea Schmidt.
“Acquisti di entità inferiore continuano a imprimere slancio monetario positivo, anche se meno efficace. Una volta terminati gli acquisti, l’effetto positivo svanirà del tutto. Pur essendo solo uno dei fattori che incidono sull’andamento dei rendimenti a lungo termine, gli acquisti della Fed continueranno ancora per qualche tempo a frenare il rialzo dei rendimenti dovuto all’aumento delle aspettative di inflazione”.
La cautela della banca centrale statunitense comporta naturalmente anche il rischio di rialzi futuri decisamente più pronunciati del previsto, che avrebbero come conseguenza se non altro un irripidimento della curva dei rendimenti Usa.
Cosa si nasconde dietro l’inflazione?
Resta molto difficile capire cosa si celi dietro l’andamento dell’inflazione. In assenza di un netto aumento dei salari e quindi degli affitti è difficile che l’inflazione possa salire stabilmente al di sopra del 2%.
L’attuale sforamento del target causerà nel corso della prossima estate l’effetto opposto e potrebbe nascondere un possibile trend rialzista dei prezzi nel lungo periodo. Non è nemmeno così improbabile che la prossima estate il tasso d’inflazione rilevato negli Stati Uniti torni al di sotto del 2%, sebbene il rincaro sottostante dei prezzi continui ad accelerare.
D’altronde potrebbero anche realizzarsi le previsioni della Fed e l’indice statunitense dei prezzi potrebbe tornare stabilmente intorno al 2%.
“Dato il contesto, è opportuno che gli investitori facciano attenzione nell’interpretare le cifre”, conclude Schmidt. “Anche le perduranti incertezze potrebbero favorire l’aumento dei rendimenti nel segmento a lungo termine della curva statunitense. I crescenti margini di incertezza dei mercati potranno essere ridotti solo dalle prossime riunioni della Fed”.
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