Proseguiamo la lunga carrellata di analisi sull’impatto dei dazi di Trump all’economia e alla finanza con questa lunga e interessante dissertazione di  Eric Turjeman, Co-CIO per i mutual funds di Ofi Invest AM, 5° asset manager francese, in cui si esaminano le potenziali conseguenze delle politiche di Trump, soprattutto dal punto di vista delle imprese, giungendo alla conclusione che non è detto che gli Stati Uniti usciranno vincitori da un’eventuale guerra commerciale.

Eric Turjeman, Co-CIO per i mutual funds di Ofi Invest AM

Riassunto

Per i nostri lettori e lettrici frettolosi, riassumiamo alcuni dei punti principali evidenziati dall’analisi:

  • Oltre alle imprese, anche i consumatori potrebbero essere impattati. Infatti, se al termine dei 90 giorni di sospensione i dazi dovessero essere ripristinati, 130 milioni di famiglie si troverebbero a dover sostenere costi aggiuntivi per 5mila dollari l’anno;
  • Anche se sono stati ritirati per 90 giorni, i dazi imposti da Trump avranno comunque conseguenze; con le imprese che potrebbero assumere atteggiamenti più prudenti in termini di investimenti e prospettive di crescita future;
  • La produzione in nazioni emergenti potrebbe essere talmente radicata da spingere i produttori Usa a non spostare le attività in patria, supportati anche da eventuali svalutazioni delle valute locali.

Introduzione

Come noto, lo scorso 2 aprile il presidente statunitense Donald Trump ha annunciato una serie di nuovi dazi sulle merci in entrata negli States, in quello che lui stesso ha chiamato “Liberation Day”, mostrando una bassissima considerazione di quelli che sono stati per decenni i partner storici del paese.

Sebbene appena una manciata di giorni più tardi sia stato subito evidente come questi dazi, basati su calcoli molto strani e senza alcun fondamento economico, fossero uno strumento per condurre delle negoziazioni bilaterali, queste azioni sono state sufficienti a calpestare 30 anni di globalizzazione.

Pertanto, il fatto che Trump sia tornato sui suoi passi annunciando un rinvio di 90 giorni, non ci deve illudere che quanto accaduto non avrà conseguenze. Anche se adesso è difficile immaginare quale sarà il futuro, se non in modo molto ipotetico, noi di Ofi Invest AM riteniamo che le imprese degli Stati Uniti riusciranno a trovare una quadra e ad operare anche in questo nuovo contesto, con i leader dei maggiori gruppi che stanno già vagliando alcune strategie. Un discorso diverso, invece, va fatto per i consumatori e la crescita.

I costi dei dazi

5mila dollari l’anno. A tanto ammontano i costi addizionali che i dazi annunciati il 2 aprile causerebbero a 130 milioni di famiglie americane. Infatti, indipendentemente da quanto possono dire i sostenitori dell’amministrazione Trump, le imposte sulle importazioni equivalgono a una tassa sui consumi, con le aziende stesse che da mesi vanno affermando che avrebbero scaricato il più possibile sui prezzi di vendita. In un’economia in cui i consumi corrispondono a circa il 70% del Pil, perseguire su questa strada può essere molto rischioso non solo per il presidente, ma anche per l’intero Partito Repubblicano e i suoi consensi, dato che il rischio di una recessione è in ascesa e l’incertezza di fondo di questi tempi sembra destinata a perdurare.

I mercati azionari statunitensi esprimono questi dubbi ormai da diverse settimane. Le aziende meno sensibili ai cambiamenti dei cicli economici hanno sovraperformato, mentre i beni di consumo discrezionali delle famiglie hanno subito un forte calo, con gli operatori alberghieri, crocieristici e le compagnie aeree che hanno dovuto sostenere il peso maggiore. È anche molto probabile che le imprese rimanderanno le loro decisioni di investimento almeno fino a quando la situazione non si sarà calmata.

In questo contesto, è difficile immaginare alti livelli di ottimismo nei comunicati stampa societari in merito al primo trimestre di questo 2025 e ancora meno revisioni al rialzo delle previsioni sugli utili. Infatti, il rischio a breve termine è chiaramente orientato verso un ribasso di questi. Gli annunci delle banche centrali saranno il prossimo elemento su cui gli investitori si concentreranno, in particolare per determinare se esista effettivamente la possibilità che la Federal Reserve possa supportare l’economia.

L’attacco al Sud-est asiatico

I dazi imposti ai mercati emergenti del Sud-est asiatico sono significativi e colpiscono l’intera catena di approvvigionamento delle aziende americane. Anche in questo caso, il messaggio dell’amministrazione statunitense è chiaro: “dovete produrre sul suolo Usa!”, sebbene sia difficile immaginare che le industrie ad alta intensità di manodopera delocalizzino negli Stati Uniti. Pertanto, alcuni paesi potrebbero essere fortemente tentati di manipolare le proprie valute per contrastare l’impatto dei dazi, a rischio di incorrere in nuove reazioni parte delle autorità americane.

Conclusioni

Come noto, l’aumento del protezionismo non è mai stato una buona notizia per le aziende, ma stavolta la situazione è ancora più critica, dato che non vediamo alcuna ragione per cui le società statunitensi – sebbene tendano a sovraperformare le controparti europee in termini di crescita interna – debbano emergere vincitrici da questo confronto. Ecco perché, qualche settimana fa, abbiamo neutralizzato la propensione positiva verso azioni Usa. Gli eventi recenti non ci danno alcun motivo per modificare queste ponderazioni. La volatilità, ovviamente, persisterà mentre l’amministrazione Trump continua a fare per poi disfare il giorno dopo.

Foto di Aaron Kittredge: https://www.pexels.com/it-it/foto/casa-bianca-129112/ CASA BIANCA

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