Il Liberation Day di Trump si è trasformato in un cataclisma dei mercati finanziari, con volatilità altissima e incertezze continue sulle direzioni delle varie asset class. A ragionare sul tema, con vista sull’Asia è Alessio Garzone, Portfolio manager di Gamma Capital Markets, nell’intervento che riportiamo qui sotto.
Mentre in America si litiga su dazi e debito, dall’altra parte del mondo c’è chi brinda. Pechino osserva il caos di Washington quasi con compiacimento, ma senza stare con le mani in mano. Anzi, la Cina sta giocando la sua partita globale con astuzia e tempismo. Il vuoto di credibilità lasciato dagli USA è un’occasione d’oro per Xi Jinping, che si è subito mosso per presentare la Cina come nuovo partner stabile e affidabile. Non stiamo parlando della solita propaganda, ma di fatti concreti: accordi, incontri diplomatici, strategie economiche di lungo termine. In poche settimane abbiamo visto più iniziative dalla Cina che in anni interi. È come se il mondo stesse davvero iniziando a guardare a Est in cerca di qualcosa a cui aggrapparsi.
Prendiamo l’Asia orientale: fino a ieri Giappone e Corea del Sud non andavano esattamente a braccetto con Pechino, complice la storica alleanza con gli USA. Ebbene, lo spettro dei dazi di Trump li ha convinti a dialogare come non accadeva da 5 anni. A fine marzo, Tokyo, Seul e Pechino si sono seduti allo stesso tavolo per rilanciare un accordo commerciale trilaterale rimasto in sospeso dal 2012 Hanno parlato di abbattere barriere e facilitare il commercio regionale.
In sostanza, Giappone, Corea e Cina stanno facendo fronte comune per difendere la libera circolazione delle merci nella regione, perché sanno che l’alternativa è subire passivamente le scelte di Washington. Il paradosso? Proprio Trump, con la sua aggressività sui dazi, sta ottenendo l’effetto di avvicinare tra loro paesi che erano divisi. Quando gli interessi sono in gioco, le vecchie rivalità passano in secondo piano: a nessuno conviene una guerra commerciale generalizzata. E la Cina si potrebbe candidare come leader del fronte anti-protezionista (chi l’avrebbe mai detto?).
Guardiamo all’Europa. L’Unione Europea per ora sonnecchia, impacciata tra atlantismo e propri interessi economici, ma alcuni segnali indicano che anche qui qualcosa si muove. Mentre Trump alzava tariffe su tutti – inclusi gli alleati storici – Xi Jinping lanciava messaggi diplomatici all’Europa. Proprio venerdì 11 aprile, Xi ha esortato pubblicamente l’UE a “unire le forze con la Cina contro il bullismo unilaterale” sulle regole commerciali e geopolitiche. Parole pesanti, che suonano come un invito: “Europa, scegli da che parte stare: col caos americano o con l’ordine che ti offre Pechino”. E infatti negli ultimi mesi non sono mancati contatti di alto livello: visite di leader europei a Pechino in cerca di sponde (si vocifera di un viaggio della cancelleria tedesca e del presidente francese per discutere di investimenti e magari di pace), accordi industriali e tecnologici (si pensi alla cooperazione sulla transizione energetica), fino alle dichiarazioni distensive della diplomazia cinese verso il Vecchio Continente.
Certo, l’Europa resta formalmente allineata a Washington, e di certo due regioni produttrici come Europa e Cina è difficile che vadano d’accordo, ma la tentazione di una “via d’uscita” cresce man mano che gli Stati Uniti diventano più imprevedibili. Dopo tutto, il mercato cinese è vitale per le imprese europee, e la stabilità delle forniture cinesi (dalle terre rare ai componenti elettronici) non ha sostituti a breve termine. Bruxelles può davvero permettersi di seguire ciecamente l’America in una crociata anti-cinese, mentre la propria economia arranca? Domanda ovviamente retorica.
La strategia multilaterale di Pechino si estende ben oltre gli accordi commerciali. La Cina si sta proponendo come mediatore e attore di pace in vari teatri dove gli USA hanno perso smalto. Un esempio eclatante è stato il clamoroso riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita mediato proprio da Pechino nel 2023 – un colpo diplomatico che ha sorpreso il mondo. Ora Xi Jinping strizza l’occhio anche al conflitto Russia-Ucraina, lanciando (già da tempo) una sua proposta di pace e offrendosi come facilitatore di colloqui. Finora la proposta cinese è stata accolta con scetticismo in Occidente – comprensibilmente, data la vicinanza di Pechino a Mosca – ma il solo fatto che sia la Cina a parlare di pace mentre l’America continua a spedire armi cambia la percezione globale. Nelle capitali del Sud del mondo, sempre meno allineate, molti iniziano a vedere la Cina come un potenziale arbitro più neutrale rispetto agli Stati Uniti. Fantapolitica? Forse. Di certo c’è che la Cina sta colmando ogni vuoto: se Washington arretra su un tavolo, Pechino avanza con un’offerta (che sia commerciale, diplomatica o strategica poco importa).
Emblematico anche il fronte tecnologico e industriale. L’America cerca di contenere la Cina (pensiamo al blocco sui semiconduttori avanzati), ma intanto le aziende cinesi conquistano fette di mercato globali in settori chiave. Uno su tutti: l’auto elettrica. La Cina è ormai il primo esportatore mondiale di automobili e veicoli elettrici, avendo superato persino il Giappone.
Nel 2024 ha esportato quasi 5 milioni di veicoli, di cui oltre 1,2 milioni elettrici o ibridi, raggiungendo luoghi un tempo impensabili. Dall’Asia al Medio Oriente, fino all’Europa dell’Est e all’Africa, le auto cinesi (spesso EV a basso costo) stanno invadendo le strade. L’Europa occidentale stessa, pur diffidente, è il secondo mercato per i veicoli elettrici “made in China”. Bruxelles ha provato a correre ai ripari imponendo dazi antidumping sui veicoli elettrici cinesi nell’ultimo trimestre 2024, ma i cinesi aggirano l’ostacolo aprendo fabbriche in Europa (BYD in Ungheria, per dirne una. In altre parole, la Cina sta diventando indispensabile anche come fornitore di beni ad alta tecnologia e valore aggiunto, non solo di materie prime o manufatti a basso costo. Questo consolida la sua posizione di partner commerciale imprescindibile per molti. E rende più difficile isolare Pechino senza subirne contraccolpi economici.
Tutto questo accade mentre gli Stati Uniti sembrano ripiegati su sé stessi, concentrati a “punire” amici e nemici con tariffe a doppia cifra. La differenza di approccio è lampante: da un lato Trump alza muri (dazi, visti, sanzioni), dall’altro Xi costruisce ponti (accordi, investimenti, cooperazione). Certo, non facciamoci illusioni: la Cina persegue il proprio interesse nazionale con fermezza, non è diventata improvvisamente benefattrice globale. Ne sono personalmente e fortemente convinto. Ma il punto è che in questo momento riesce a presentare i suoi interessi come se fossero interessi comuni a tanti altri paesi, creando coalizioni di sostegno: gli Stati Uniti rischiano di perdere il consenso internazionale che avevano costruito in 80 anni di leadership, mentre la Cina riempie quel vuoto proponendosi come pilastro di un “nuovo ordine” multipolare.
In conclusione, il quadro è chiarissimo e al tempo stesso inquietante. Da un lato un’America in balìa di politiche imprevedibili e lotte intestine, con un dollaro che vacilla e mercati che non la ritengono più infallibile. Dall’altro una Cina che si candida – con tutti i suoi limiti – a garante di stabilità economica e forse anche geopolitica. Game Over Dollaro? Ancora no, ma la partita è aperta come non mai. E questa volta il mondo guarda (e va) a Est.