Dall’insediamento del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il 22 gennaio, l’indice del dollaro USA è sceso di circa il 5%. Cosa succede alla valuta di riferimento globale? Ce ne parla Peter Kinsella, Global Head of Forex Strategy di Union Bancaire Privée (UBP).

Peter Kinsella, Global Head of Forex Strategy di Union Bancaire Privée (UBP)

Introduzione

La debolezza del dollaro è generalizzata, con la valuta che perde terreno sia nei confronti delle valute dei Paesi del G10 che di quelle dei mercati emergenti. Valute come la corona svedese (SEK), la corona norvegese (NOK) e lo Yen (JPY) hanno registrato le migliori performance rispetto al dollaro, e questo dimostra che il mercato Forex sta passando da un regime di carry trade incentrato sul dollaro verso uno che premia le valute sottovalutate, come la corona svedese (SEK), la corona norvegese (NOK) e lo Yen (JPY).

Questa azione sui prezzi non corrisponde alle attese degli investitori secondo i quali il dollaro avrebbe beneficiato del cosiddetto “Trump trade”, una combinazione di deregolamentazione dell’economia statunitense, dazi elevati sulle importazioni e tassi di interesse più alti.

La retorica sui dazi si scontra con la realtà

Secondo il consensus, i dazi avrebbero dovuto portare a un apprezzamento del dollaro USA a causa delle aspettative di riduzione delle importazioni e di un conseguente miglioramento della bilancia commerciale degli Stati Uniti. Questo però non è accaduto. Ciò riflette l’imprevedibilità degli annunci sui dazi e la mancanza di certezza riguardo alla posizione finale degli Stati Uniti su questo tema. Gli annunci di Trump e la successiva sospensione delle misure tariffarie su Canada e Messico ne sono un ottimo esempio. Di conseguenza, l’EUR/USD non si è quasi mosso quando Trump ha annunciato potenziali dazi sui beni europei: quando si tratta della politica commerciale, diventa complicato per gli investitori capire se fidarsi delle parole di Trump oppure no.

Andamento del Dollar Index da novembre 2024 a inizio aprile 2025 – Elaborazione della redazione con TradingView.com

Sorprendentemente, sono pochi gli studi sugli effetti dei dazi sulle valute. Tuttavia, secondo il consensus l’impatto iniziale è un apprezzamento della valuta del paese che impone i dazi a causa dei cambiamenti nella bilancia commerciale. Gli effetti economici successivi tendono poi a invertire questa tendenza.

C’è anche una questione di scala e dimensioni. Gli Stati Uniti hanno imposto dazi alla Cina a partire dal 2018, quando la PBoC voleva leggermente indebolire il Renminbi cinese (CNY). Nello scenario attuale gli Stati Uniti hanno imposto dazi alla Cina, al Canada e al Messico contemporaneamente, oltre ad aver minacciato di applicarli all’UE. E invece di assistere a un apprezzamento del dollaro, abbiamo assistito a un suo indebolimento.

Dall’insediamento, la fiducia dei consumatori statunitensi è peggiorata, riflettendo i maggiori livelli di incertezza legata ai dazi. I tassi di interesse statunitensi a lungo termine sono diminuiti e, di conseguenza, il vantaggio a livello di carry del dollaro USA rispetto alla maggior parte delle valute dei Paesi del G10 e dei mercati emergenti si è ridotto.

Cambio nelle valutazioni

Il dollaro statunitense scambiava ai massimi da decenni prima dell’insediamento di Trump. La sua chiara sopravvalutazione è uno dei principali fattori alla base del deficit commerciale statunitense e l’amministrazione USA avrà accolto con favore l’indebolimento del dollaro. Riteniamo che la soglia per un ulteriore indebolimento del dollaro non sia particolarmente alta. L’annuncio della spesa fiscale della Germania segna un punto di svolta e porterà a una maggiore dinamica di crescita nella più grande economia europea, proprio nello stesso momento in cui gli Stati Uniti sperimenteranno una crescita più lenta e una modesta contrazione fiscale (per via del DOGE ecc.). Sostanzialmente, un euro più forte farà di più per ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti di quanto non faranno mai i dazi.

Foto di copertina elaborata con Copilot Dall-E.

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