La storia dell’oro di Banca d’Italia. Un governo che si serviva della Banca d’Italia come un deposito da cui attingere, imprenditori e faccendieri al vertice di banche che utilizzavano per finanziare le proprie operazioni societarie, riserve d’oro nel mirino di una potenza straniera.
Sembrano delle linee guida per un romanzo, invece era il contesto italiano degli anni ’30. Dove Banca d’Italia stava tra il compiacente e l’assediato da un governo che mirava alle riserve per finanziare le proprie avventure belliche e sostenere la lira (la famosa quota 90).

Con un governatore asservito al fascismo e un dirigente – il Niccolò Introna che dà il titolo al saggio – che invece combatteva per l’indipendenza della banca centrale. Federico Fubini in “L’oro e la patria: Storia di Niccolò Introna, eroe dimenticato” (Mondadori 2024, 213 pagg.) traccia mirabilmente l’epoca in cui avvengono questi fatti, ma soprattutto si concentra sugli avvenimenti successivi all’8 settembre: dopo la capitolazione dell’Italia e la fuga della monarchia e del governo, le truppe naziste invadono l’Italia e cercano di impadronirsi delle riserve d’oro (oltre 600 tonnellate) conservate nelle “sacristie” di Banca d’Italia.
Sotterfugi e tentativi di nascondere e depistare le SS, e gli eventi fino al 25 aprile 1945 sono raccontati da Fubini con dovizia di particolari, grazie alle oltre 80mila pagine di documenti che lo stesso Introna ha raccolto e conservato, grazie ai carteggi di Banca d’Italia e dei servizi statunitensi. Un affresco mirabile che prosegue anche dopo il 1945 quando si comincerà a fare i conti con quanto avvenuto durante la guerra e con l’arrivo del promo governatore repubblicano della Banca, ovvero Luigi Einaudi.
Eventi lontani quasi un secolo, ma che in alcuni momenti, e soprattutto in gran parte delle riflessioni, sembrano scritti per avvenimenti recenti. Moniti che arrivano da un tempo lontano ma che sono attualissimi.
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