Nel breve periodo, la politica economica di Donald Trump potrebbe far compiere un ulteriore balzo agli Stati Uniti, ma nel lungo il trend si potrebbe invertire. Ce lo spiega Ombretta Signori, Head of Macroeconomic Research and Strategy di Ofi Invest AM, 5° asset manager francese per masse gestite.

Riassumendo l’analisi, l’autrice ci dice che:

  • La crescita economica degli Stati Uniti si sta mostrando solida, con i consumi delle famiglie che non accennano a contrarsi
  • I tagli delle imposte potrebbero ulteriormente accrescere questo rally, ma nel lungo termine, gli effetti negativi di tassi doganali e politiche immigratorie restrittive andranno a prevalere sugli effetti positivi della politica fiscale, che solitamente tendono a esaurirsi nel corso di un anno
  • L’impatto sull’inflazione della politica di Trump non sarà misurabile fino a metà 2025, pertanto, fino ad allora, la Fed continuerà nel suo percorso di riduzione dei tassi. Tuttavia, in seguito potrebbe rivedere le sue posizioni se le decisioni del tycoon dovessero riportare l’inflazione sopra i livelli di guardia. 
Ombretta Signori, Head of Macroeconomic Research and Strategy di Ofi Invest AM

Le prime reazioni dei mercati alla vittoria di Donald Trump alle presidenziali statunitensi sono state quelle che tutti si aspettavano: un notevole rialzo del mercato azionario americano, superiore a quello registrato dalle obbligazioni, in vista di probabili tagli alle imposte e dell’applicazione di politiche commerciali protezionistiche. Ma quanto possono durare ancora queste reazioni? La risposta a questa domanda dipende da quanto in fretta il programma di Trump sarà applicato e attualmente è molto difficile fare previsioni. Per questo motivo serve comunque prestare attenzione, in quanto uno scenario in cui il tycoon provasse a realizzare quanto promesso in campagna elettorale, si andrebbe comunque a scontrare con ostacoli legati alla crescita, al commercio e al minor afflusso di migranti. Paradossalmente, ciò andrebbe a favorire più i bond delle azioni.

Guardando al contesto odierno, gli Stati Uniti provengono da un terzo trimestre che ha portato la crescita annua del Pil al 2,8%, con un forte contributo proveniente dai consumi, che al momento non sembrano registrare segni di rallentamento e questo è ciò che fa propendere per un “soft-landing” dell’economia Usa nel 2025. Ma come impatteranno su questo outlook le politiche di Trump? Attualmente, gli Stati Uniti hanno un’economia che performa vicino al suo pieno potenziale; ciò significa che i margini di manovra per procedere al taglio delle tasse voluto dal nuovo presidente eletto sono stretti. Inoltre, gli effetti di certi stimoli fiscali tendono a svanire nell’arco di un anno. Supponendo che questi tagli siano il primo punto nell’agenda del nuovo Congresso, lo slancio aggiuntivo che darebbero alla crescita potrebbe compensare inizialmente l’impatto negativo derivante dall’introduzione di dazi doganali più alti e di politiche più severe sull’immigrazione. Nel più lungo termine, però, sarebbe quest’ultimo a prevalere.

 Un’altra domanda che i mercati si stanno ponendo insistentemente riguarda le posizioni che la Federal Reserve intende assumere verso il programma di Trump. Osservando gli indicatori nazionali, questi sembrano indicare che già nel terzo trimestre l’inflazione fosse sotto la soglia del 2% e, sebbene gli effetti delle politiche fiscali dell’attuale amministrazione da qui alla fine dell’anno siano negativi per questo parametro, l’andamento appare comunque sotto controllo. I rischi maggiori derivano dall’applicazione dalle tariffe, che, nel migliore dei casi, saranno legge non prima del secondo trimestre del prossimo anno. Ciò significa che i veri effetti sull’inflazione saranno visibili solamente a partire dalla metà del 2025. Ecco perché noi di Ofi Invest AM riteniamo che la Fed continuerà comunque nel suo percorso di riduzione dei tassi, almeno fino ai primi mesi del prossimo anno.

 Quanto visto può portare a chiedersi se anche la Banca Centrale Europea reagirà in qualche modo. La crescita tra luglio e settembre nell’Area Euro è stata superiore alle attese (+0,4%), con la Spagna che ha registrato un +0,8%, ma questi sono risultati su non possiamo fare eccessivo affidamento, in quanto l’effetto dei Giochi Olimpici sulla Francia non si è ancora esaurito e l’Irlanda presenta un quadro molto instabile. Se si escludono questi due fattori, è probabile che la “vera” crescita sia stata più prossima allo 0,2%-0,3%. Inoltre, tra settembre e ottobre l’inflazione è risalita al 2%, dopo essere arrivata all’1,7%; tuttavia, la componente energetica oggi ha un peso minore e la deflazione sui beni di consumo sembra essere finita. Solamente la componente dei servizi continua a rimanere elevata. Alla luce di ciò, è molto difficile che nel 2025 si torni a superare una soglia critica; pertanto, lo scenario che appare più probabile è quello di ulteriori tagli dei tassi da 25 punti base nelle prossime riunioni.