A livello globale abbiamo notato alcune importanti divergenze sul fronte della politica monetaria. Sebbene nel 2023 sia rimasta restrittiva in oltre l’85% delle economie mondiali, solo la metà di esse ha inasprito la propria politica fiscale, un dato inferiore rispetto al 70% del 2022. Questo fa seguito a un’inversione di tendenza registrata dagli aggregati fiscali nel 2023 (dopo una rapida riduzione dei disavanzi fiscali e dei livelli di debito pubblico nel 2021-22), che ha arrestato i progressi verso la normalizzazione delle politiche.

Quest’anno, il rischio di uno scostamento di bilancio a livello globale è particolarmente elevato, secondo questa analisi di di Gero Jung, Chief Economist di Mirabaud Asset Management, che vi proponiamo oggi.

Gero Jung, Chief Economist di Mirabaud Asset Management

Il 2024 è un “super anno elettorale”, e questo probabilmente aumenterà ulteriormente la pressione sui bilanci. Infatti, quest’anno si sono tenute o si terranno elezioni in 88 economie o aree economiche – dove si concentra più della metà della popolazione e del PIL mondiali e complessivamente i disavanzi primari si attestano al 4,9% del PIL – anche se si prevede una loro riduzione. Il parametro politico quindi è importante, in quanto l’evidenza empirica mostra una tendenza allo slittamento dei bilanci negli anni elettorali.

Con deficit fiscali superiori ai livelli pre-pandemici e costi di servizio di debt service più elevati, il consolidamento fiscale rimane una priorità per molti Paesi. Negli USA, nessuno dei due candidati finora ha mostrato la volontà di ridurre significativamente l’attuale deficit di bilancio (che rimane astronomicamente alto per un periodo non bellico).

Il debito pubblico di un Paese è considerato sostenibile se il governo è in grado di far fronte a tutti i suoi obblighi di pagamento (attuali e futuri) senza dover ricorrere ad aiuti finanziari eccezionali o senza andare in default. Quando si tratta di valutare le politiche necessarie per stabilizzare il debito, gli analisti valutano se queste sono fattibili e coerenti con il mantenimento del potenziale di crescita o del progresso dello sviluppo. Inoltre, quando i Paesi contraggono prestiti dai mercati finanziari, assumono importanza anche i rischi associati al rifinanziamento.

In generale, un debito eccessivo comporta l’esclusione dalle opportunità di investimento, anche nel settore privato. Dall’altro lato, un debito troppo basso potrebbe significare che non vengono effettuati abbastanza investimenti da parte del governo. 

Secondo il FMI, entro il 2029 il debito pubblico mondiale dovrebbe avvicinarsi al 99% del PIL, trainato da Cina e Stati Uniti. A partire dal 2025, la mancanza di consolidamento fiscale genererà un aumento dei costi di finanziamento globali e, secondo alcune ricerche, entro il 2026 le economie avanzate con livelli di debito superiori al 100% del PIL subiranno un aumento significativo sia dei premi a termine che di quelli sovrani.

Tra le economie avanzate con i più alti indici di indebitamento spicca il Giappone, con un debito lordo attualmente pari a circa il 250% del PIL. Tuttavia, questo numero elevato non fornisce una visione completa dei problemi di sostenibilità del debito, in quanto è necessario esaminare il bilancio pubblico in senso lato. Questo dimostra che a) lo Stato giapponese è ricco di asset e molte delle sue passività sono detenute da istituzioni statali; b) la Banca del Giappone ha acquistato somme massicce di debito pubblico, è un grande detentore di titoli di Stato giapponesi e possiede addirittura più del 5% delle azioni quotate a Tokyo.

Guardando, invece, all’Europa, alcuni governi hanno esteso parte delle misure di sostegno inizialmente lanciate durante la pandemia, come il programma Superbonus in Italia. Sempre in Italia è stato annunciato un piano di stimoli, che comprende costose modifiche alla politica fiscale, tagli ai contributi previdenziali e nuove iniziative di spesa, spesso basate su ipotesi di finanziamento ottimistiche.