Oggi vi proponiamo un’analisi che va un po’ controcorrente. E’ la view di Alberto Conca, gestore Zest Asset management Sicav e responsabile investimenti Lfg+Zest che ci spiega perché in Zest preferiscano il reddito fisso alle azioni, sebbene non ci sono comunque ancora prove concrete a suggerire che il mercato azionario scenderà significativamente a breve, ma l’indicazione che arriva dalla lettura del Rnl, che è più del 3% al di sotto del Pil, potrebbe indicare che la recessione è molto vicina o che la futura crescita economica rimarrà prossima allo zero.

Alberto Conca – Fonte: Zest AM

Il Pil e il Rnl (Reddito nazionale lordo) sono due variabili economiche che misurano la stessa cosa, trovandosi sui due lati dell’equazione della crescita economica: il primo si riferisce alle tendenze della produzione, mentre il secondo alle tendenze del reddito. Per questo motivo, nel lungo periodo le serie temporali hanno modelli molto simili, quasi identici. Ci sono momenti, tuttavia, in cui le due serie divergono. Questa divergenza non è quasi mai stata forte come quest’anno. Il Rnl è più del 3% al di sotto del Pil e questo segnale del lato “reddito” potrebbe indicare che la recessione potrebbe essere molto vicina o che la futura crescita economica rimarrà prossima allo zero. Il dilemma è se sarà il Pil a convergere verso il Rnl o viceversa.

La risposta potrebbe stare nel mezzo. Da un lato, notiamo che la serie storica degli indicatori anticipatori del G7 ha appena superato quota 100, come se il rallentamento economico fosse alle nostre spalle e il peggio fosse passato. La spinta per questo miglioramento potrebbe essere arrivata dalle banche centrali. Il numero di banche centrali che hanno iniziato a tagliare i tassi per stimolare l’economia è aumentato dallo 0% di inizio 2024 al 50% di oggi.

Dall’altro lato, tuttavia, troviamo il PMI composito manifatturiero che rimane ben al di sotto di 50 (soglia tra espansione e contrazione economica). Storicamente, quando il PMI è al di sotto di 50, gli utili nell’S&P 500 diminuiscono in media del 17% annualizzato. Attualmente, questo fenomeno non si sta verificando; infatti, le stime degli utili per il 2025 continuano a salire. Tuttavia, è importante capire da dove proviene questa crescita. Gli analisti macro attualmente segnalano che la crescita degli utili nell’S&P 500 per il prossimo anno sarà di circa il 14%. Utilizzando invece il metodo bottom-up e aggregando quindi tutti i titoli nell’S&P dal basso, le stime della crescita degli utili salgono al 17%. C’è una differenza di circa tre punti percentuali, giustificata dal fatto che solitamente i secondi sono più ottimisti degli analisti macro. Osservando le crescite degli utili delle 500 aziende, la quota preponderante è compresa tra il 10% e il 15%. Osservando il contributo settoriale alla crescita degli utili del 2025 utilizzando il metodo bottom-up, quindi al 17%, emerge che oltre il 90% di questa crescita proviene da tre settori: Information Technology, Health Care e Communication Services. È importante notare che escludendo il settore dei materiali, la cui crescita nel 2025 sarà negativa, questi tre settori contribuirebbero ancora di più al totale dell’indice.

Approfondendo l’analisi, abbiamo identificato 16 azioni che spiegano oltre il 13% della crescita stimata degli utili per il 2025. Possiamo dividere queste azioni in due categorie, quelle relative all’assistenza sanitaria che segnalano una crescita idiosincratica, decorrelata alle tendenze economiche, e quelle relative allo sviluppo dell’intelligenza artificiale. I componenti di questo secondo gruppo è come se avessero creato un ecosistema autosufficiente, perché Meta, Google, Apple e Microsoft stanno spendendo molto in capex e la maggior parte di questa spesa corrisponde ai ricavi di Nvidia. È opportuno chiedersi se questa forte spesa in capex, che come abbiamo appena visto si trasforma in crescita, sia sostenibile o meno. Gli stessi tre settori che contribuiscono maggiormente alla crescita degli utili (Information Technology, Health Care e Communication Services) generano la maggior parte del flusso di cassa libero dell’S&P 500. Pertanto, la loro enorme spesa in conto capitale è giustificata e apparentemente sostenibile, con l’aggiunta del Consumer Discretionary, che include Amazon e Tesla (due grandi spendaccioni in conto capitale) e delle Utilities. Restano dubbi su quanto a lungo saranno sostenuti questi investimenti e quindi continueranno a supportare la crescita.

Spostando l’attenzione sulla valutazione di mercato, riferendoci ai valori di crescita degli utili per il 2025 visti sopra, attualmente paghiamo circa 20 volte gli utili dell’anno prossimo. Storicamente il picco di un ciclo viene raggiunto quando il multiplo dell’indice è nell’area 20 e il minimo nell’area 8. A oggi, siamo al top dell’intervallo. Prendendo un’altra misura di valutazione, l’Earning Yield (Utile per azioni/Prezzo delle azioni) in relazione al possibile Upside/Downside dell’S&P considerando le attuali stime di crescita degli utili, la situazione è simile a quella descritta sopra. Prendendo come riferimento il rendimento medio degli utili degli ultimi cinque anni (4,5%), nelle stime del 2024, 2025 e 2026 il possibile movimento dell’S&P corrisponde rispettivamente a -10,3%, +2,3% e +12,0%. Il mercato in termini di valutazione sembra essere sopravvalutato. Infine, osservando il premio di rischio azionario implicito dell’S&P 500, esso attualmente si attesta all’1,14 percento rispetto a un valore storico del 3-3,5 percento. Non ci sono ancora prove concrete asuggerire che il mercato azionario scenderà significativamente a breve, ma in termini di rendimento aggiustato per il rischio continuiamo a preferire il reddito fisso, in particolare il segmento Investment Grade, rispetto all’azionario.