Il protezionismo sembra crescere in tutto il mondo, e le discussioni su nearshoring e reshoring hanno toccato il culmine negli ultimi anni. Cosa dovremmo pensare dello spesso citato incremento del protezionismo? Se i Paesi si chiudono a riccio, cosa significa per i real asset? Le risposte arrivano da questa analisi di di Ibrahiim Bayaan, Director of Research, Real Estate, Americas di Nuveen; Gwen Busby, Head of Research and Strategy di Nuveen Natural Capital; Jordi Francesch, Head of Global Asset Management, Clean Energy di Nuveen Infrastructure.
Sebbene le importazioni globali abbiano continuato a raggiungere nuovi picchi rispetto alle dimensioni dell’economia globale, a partire dalla crisi finanziaria del 2008 lo scambio di beni è rimasto stagnante. In questo contesto, la retorica dei leader politici ed economici, sia nei Paesi in via di sviluppo che in quelli sviluppati, è diventata sempre più protezionistica.
Settore immobiliare
La riorganizzazione delle catene di fornitura globali non ridurrà la domanda di spazi logistici, bensì sposterà i modelli commerciali, a fronte di una maggiore enfasi sulle reti regionali e interne.
I mercati portuali potrebbero non godere degli elementi favorevoli che hanno favorito la domanda nei primi anni 2000, quando la Cina assunse un ruolo predominante quale principale fonte delle importazioni per le economie sviluppate. Gran parte degli spazi esistenti a Rotterdam, Anversa, Nagoya, Melbourne o nella California meridionale hanno sfruttato la domanda di deposito associata alla crescente globalizzazione delle catene di fornitura. Man mano che il mondo si allontana da questo modello, si ridurranno le pressioni sui rivenditori e i produttori per espandere la loro presenza nei porti.
Al contrario, i nodi regionali all’interno dei Paesi e dei loro immediati vicini “amici” potrebbero guadagnare terreno. Agli investitori conviene analizzare il flusso di merci tra i nuovi siti produttivi in espansione in Europa, nell’area sviluppata dell’Asia-Pacifico e negli USA con le strutture e i consumatori nazionali esistenti.
Infrastrutture
A livello globale, rileviamo che, in futuro, la domanda di produzione locale di materiali critici per le catene di fornitura non farà altro che crescere per gli asset infrastrutturali. La guerra in Ucraina e il dominio della Cina quale fornitore di turbine solari ed eoliche hanno generato una rinnovata attenzione verso l’indipendenza energetica e l’onshoring delle catene di fornitura per l’energia pulita. Il disaccoppiamento delle catene di fornitura globali e una maggiore attenzione nei confronti della sicurezza energetica e della decarbonizzazione determineranno un insieme di opportunità, che assumeranno forme diverse a seconda delle regioni.
L’approccio dell’Europa alla transizione energetica mira alla coesistenza di soluzioni provenienti dall’esterno dell’UE e di tecnologie sviluppate e prodotte internamente.
L’UE sta inoltre adottando misure per rafforzare il controllo sugli investimenti esteri nei settori strategici. Il settore energetico, considerato strategico, dovrebbe essere in grado di creare un’industria basata sull’attuale competitività tecnologica, anche a fronte di un supporto istituzionale. La strategia mira a promuovere la crescita economica e migliora la sostenibilità complessiva del settore energetico. Ciò implica l’integrazione di componenti, materiali e conoscenze provenienti da fornitori e produttori europei. Tale impulso alle catene di fornitura interne costituirà la base per consolidare la leadership tecnologica europea, rafforzare le economie regionali, creare posti di lavoro e ridurre l’impronta di carbonio associata al trasporto di materiali su lunghe distanze.
Nel 2022, gli USA hanno approvato sia il CHIPS che l’Inflation Reduction Act (IRA), che prevedono complessivamente quasi $900 miliardi di finanziamenti federali.[1]
I due provvedimenti mirano a rafforzare la produzione nazionale di componenti per energia pulita e semiconduttori, destinati a crescere grazie alla futura domanda di infrastrutture digitali ed energetiche degli USA. Si prevede che la capacità di produzione di energia elettrica, grazie soprattutto alle aggiunte di energia eolica e solare, aumenterà di quasi il 50% nei prossimi 10 anni, rispetto al decennio precedente, in cui si è registrato solamente un incremento del 16%.[2] [3] A sua volta, si ipotizza che la domanda di energia elettrica sarà trainata dall’elettrificazione dei trasporti, dalla produzione di semiconduttori e, soprattutto, dai data center per cloud e IA, che, secondo le previsioni, rappresenteranno il 40% del tasso di crescita della domanda di elettricità fino al 2030.[4]
Per via dell’IRA, la stragrande maggioranza degli investimenti commissionati per le fabbriche sono stati destinati alle batterie.[5] Ciò è in linea con la domanda prevista: da qui a fine decennio, le installazioni per lo stoccaggio previste richiederanno investimenti annuali di $8 miliardi negli USA e di $35 miliardi a livello globale.[6] Ciò evidenzia la necessità di batterie per far fronte all’intermittenza e facilitare l’adozione delle energie rinnovabili.
In Asia, l’India si è impegnata a triplicare la capacità di energie rinnovabili fino a 500 GW entro il 2030, di cui più della metà, secondo le previsioni, giungerà dall’energia solare. In linea con la visione del Primo Ministro Narendra Modi di un’“India autosufficiente” e motivato dall’impennata della domanda di pannelli solari e dalle preoccupazioni per la concentrazione della catena di fornitura in Cina, il governo ha adottato misure per sostenere la produzione solare nazionale.
L’attenzione dell’India nei confronti della produzione di energia solare è iniziata seriamente dopo la pandemia di Covid-19, quando le interruzioni del commercio globale fecero emergere i rischi delle catene di fornitura concentrate, in un momento in cui affiorarono le preoccupazioni per la sicurezza energetica. L’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA) prevede che, entro il 2026, l’India potrebbe diventare il secondo produttore mondiale di fotovoltaico, con una capacità produttiva tale da renderla autosufficiente e in grado di puntare al mercato delle esportazioni.
Il quadro generale
Il protezionismo ha implicazioni di ampia portata per la struttura e la direzione dell’economia globale, oltre che un impatto diretto sugli investimenti. L’incremento del commercio globale ha contribuito a ridurre l’inflazione dei prezzi dei beni, aumentato la proliferazione dell’innovazione e delle idee e facilitato una più efficiente divisione della manodopera. Il venir meno di questi accordi, costituitisi nel corso di decenni, potrebbe rendere più costosi molti prodotti di consumo e rallentare la crescita del PIL e l’innovazione tecnica a livello globale.
[1] Deloitte Insights: Realizzazione dell’’investimento di 2000 miliardi di USD per aumentare la competitività americana
[2] EIA: Energia elettrica annuale
[3] EIA: Prospettive energetiche annuali 2023
[4] Goldman Sachs Research: IA, data center e l’imminente aumento della domanda di energia elettrica negli USA
[5] BloombergNEF: Il fattore 45X: i crediti d’imposta statunitensi stimolano l’industria sul territorio nazionale
[6] AIE: stoccaggio su scala di rete