Sono tra i best performer del 2024 e anche degli ultimi 12 mesi. Armi e uranio, la finanza non etica che vince. Bollati come antitesi alle tematiche ESG, rappresentano il sentire comune della finanza tradizionale, che guarda al trend following e alla performance sopra ogni altra cosa.
Gli oltre due anni di guerra in Ucraina, il Medio Oriente di nuovo in subbuglio, le recenti rappresaglie iraniane e le flotte schierate nello Stretto di Hormuz (senza contare la persistente crisi di Taiwan) hanno rilanciato ancora di più un settore che già non aveva bisogno di incentivi particolari.
Al tempo stesso la Commissione Europea ha definitivamente sdoganato l’energia nucleare giudicandola a emissioni zero e inserendola nella propria tassonomia green. E, nonostante i dubbi e le proteste, la domanda di uranio continua a crescere. Inoltre, l’8 aprile scorso la Commissione ha detto di voler dar seguito alle richieste di un gruppo di Paesi europei, guidati dalla Francia, di aumentare gli investimenti nell’energia nucleare con il progetto dell’Alleanza industriale europea per i piccoli reattori modulari.
Tom Bailey, Head of ETF Research di HANetf – che su queste tematiche ha tre Etf quotati a Piazza Affari, Future of Defence UCITS ETF (ticker: NATO), Sprott Uranium Miners UCITS ETF (ticker: U3O8) e Sprott Junior Uranium Miners UCITS ETF (ticker: URNJ) – prova a spiegare l’interesse per questi temi.
“I mercati hanno accolto i recenti eventi in Medio Oriente con relativa calma. Sebbene l’Iran abbia già dichiarato la conclusione degli attacchi e il Presidente Biden abbia invocato la moderazione, le incertezze permangono, soprattutto a seguito delle dichiarazioni di Israele che ha accennato a potenziali risposte all’attacco subito, suggerendo il rischio di un’escalation. La portata di qualsiasi risposta rimane incerta. I mercati raramente valutano appieno i rischi di coda estremi.
Tuttavia, l’attacco iraniano a Israele sottolinea considerazioni più ampie. Lo stallo imposto dal presidente della Camera degli Stati Uniti Johnson dopo la prima votazione su una legge bipartisan del Senato, volta a fornire aiuti a Israele, Ucraina e Taiwan, è ora di nuovo al centro dell’attenzione. Il potenziale inasprimento delle tensioni in Medio Oriente potrebbe influenzare la posizione del Partito Repubblicano sulla proposta di legge, spingendo il Repubblicano Johnson a riconsiderare la sua posizione o, quantomeno, a influenzare voti a favore.
Tutti questi shock geopolitici, che continuano a mettere in evidenza i titoli della difesa, hanno anche richiamato l’attenzione su un altro tema di interesse pubblico, ossia l’importanza della sicurezza energetica: a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia diversi Governi si sono ritrovati ad emettere sanzioni alla Russia, sanzioni che hanno inficiato anche il comparto energetico, costringendo i Paesi che un tempo dipendevano dal petrolio e dal gas russo a cercare alternative. Inoltre, insieme all’urgente necessità di raggiungere gli obiettivi net-zero, è oggigiorno sempre più diffuso il desiderio di ottenere energia da fonti pulite e sicure e l’energia nucleare sembra rispondere perfettamente a queste richieste.
Sempre più Paesi che in precedenza avevano rinnegato l’energia nucleare, stanno cambiando la loro posizione. È il caso del Giappone che, dopo la marcia indietro sul nucleare a seguito dell’incidente di Fukushima del 2011, ha riattivato dal 2015 ad oggi ben 12 reattori nucleari e si prevede che ne seguiranno altri. Tuttavia, con 61 impianti in costruzione in tutto il mondo e altri 113 in progetto, il previsto squilibrio tra domanda e offerta di uranio è diventato preoccupante. Serve aumentare la produzione della materia prima che alimenta questa energia per poter soddisfare una domanda sempre più crescente di nucleare in un’ottica di transizione energetica e non solo”.